[di Antonio Tricarico] pubblicato su Valori.it
Una settimana fa la Corte di Appello di Milano ha assolto l’Eni, l’ex ad Paolo Scaroni, la Saipem e i suoi manager dall’accusa di corruzione internazionale nell’ambito dell’acquisizione nel 2006 della First Calgary Petroleum (FCP), che in joint-venture con la società statale Sonatrach deteneva il giacimento di gas algerino a Menzel. La presunta tangente di 197 milioni di dollari sarebbe stata versata all’ex ministro dell’Energia Chekib Khelil.
Gli imputati sono stati tutti assolti perché “il fatto non sussiste”. È stata quindi annullata la confisca alla Saipem di 197 milioni di euro, decisa in primo grado. Una sconfitta per la Procura di Milano, poiché la sentenza ha totalmente ribaltato la decisione della Corte di Assise del 2018 che condannava Saipem, i suoi top manager Pietro Tali, Pietro Varone e Alessandro Bernini, e tre intermediari algerini, mentre assolveva già allora Scaroni, il manager ENI, Antonio Vella e anche la società, poiché le responsabilità della controllata Saipem non si estendevano alla controllante.
Intanto Opl245 alle battute finali
Aspettando le motivazioni della sentenza, l’attenzione si sposta nuovamente sul “caso Nigeria”, in cui Eni e i suoi manager sono imputati per corruzione internazionale aggravata nell’ambito dell’acquisizione della licenza Opl 245 nel lontano 2011.
Oramai siamo giunti alle battute finali del processo. Mercoledì prossimo è atteso in aula il super-testimone nigeriano, Isaac Eke, ex capo della polizia di Lagos, che ai tempi del presunto crimine coordinava le forze di sicurezza nella capitale Abuja.
Eke è stato tirato in ballo dall’imputato Vincenzo Armanna, ex manager Eni che è diventato uno dei principali accusatori dell’attuale CEO Descalzi e degli altri manager. Nel luglio scorso, Armanna ha dichiarato in aula che Eke, chiamato in codice Viktor, gli avrebbe riferito di borse con contanti della presunta tangente Opl 245 che sarebbero transitate nella villa presidenziale per poi finire (con 50 milioni al loro interno) anche nella villa di Abuja del manager Eni Roberto Casula. Una sorta di “retrocessione” di parte della tangente ai manager della società, secondo l’accusa.
Il ministro nigeriano estradato a Dubai
Nel frattempo l’ex Attorney General e ministro della Giustizia nigeriano, Adoke Bello, accusato di aver ricevuto parte della tangente tramite un mutuo pagato dall’intermediario Aliyu Abubakar per l’acquisto di una casa ad Abuja, è stato finalmente estradato da Dubai e da quattro settimane è in detenzione presso la sede centrale della Procura anti-corruzione ad Abuja. Proprio martedì nuove accuse sono state formulate dalla procura nigeriana nei confronti di Adoke ed Abubakar. Su quest’ultimo, noto ai più in Nigeria come “Mr. Corruption”, è in corso un procedimento separato con udienza preliminare anche presso il Tribunale di Milano.
Le prove statunitensi
A ridosso della vacanze di Natale, nuove prove sono arrivate dagli Stati Uniti in risposta ad una rogatoria della Procura di Milano. Secondo l’accusa, circa 5 milioni di dollari della tangente sarebbero passati da Dan Etete, ex ministro del Petrolio nigeriano che si era auto-intestato la licenza nel 1998 utilizzando il veicolo della società Malabu, alla Owen Software Development negli Stati Uniti.
Tal Sunmonu Mutiu, ex manager di Shell ai tempi dell’operazione Opl 245, era direttore della Owen. Coinvolta negli affari della Owen c’era anche la moglie di un potente intermediario nigeriano, Jide Omokore. Questi è ben noto alle autorità nigeriane, inglesi e americane, poiché front dell’ex ministro del Petrolio Diezani Elison-Madueke ai tempi dell’affare Opl 245. Diezani è libera su cauzione in Inghilterra ed è accusata in Nigeria di essersi appropriata di ben sei miliardi di dollari dei proventi del petrolio, anche grazie ai servizi di Omokore. Difficile dire se questo rivolo della presunta tangente Opl245 fosse una possibile “retrocessione” per manager di Shell o dovesse raggiungere politici nigeriani. Forse lo scopriremo alla prossima udienza.