[di Luca Manes] pubblicato su La Stampa
“Still Digging”, un rapporto pubblicato oggi dalle organizzazioni statunitensi Friends of the Earth USA e Oil Change International, rivela che l’Italia ha destinato 2,3 miliardi di euro l’anno a progetti di sfruttamento dei combustibili fossili rispetto ai 215 milioni di euro assicurati nello stesso arco di tempo alle fonti energetiche pulite. Dalla sigla dell’Accordo di Parigi a fine 2015, i Paesi del G20 hanno impiegato circa 71 miliardi di euro l’anno in finanziamenti pubblici a petrolio, gas e carbone, il triplo di quanto andato alle rinnovabili.
Mentre l’Italia prepara i suoi pacchetti di stimolo in risposta all’emergenza COVID-19, “Still Digging” sottolinea che la sua finanza pubblica è stata finora drammaticamente disallineata con quanto necessario per evitare la crisi climatica. Il rapporto esorta l’Italia e gli altri governi del G20 a smettere di usare il denaro pubblico per sostenere l’industria dei combustibili fossili e a investire invece in una ripresa giusta e sostenibile.
“L’Italia continua a sovvenzionare l’industria dei combustibili fossili anche quando prende cattive decisioni che danneggiano le persone e il pianeta”, ha detto Kate De Angelis, analista di politica internazionale di Friends of the Earth USA. “I progetti per gas e petrolio stanno già peggiorando la crisi COVID-19, generando inquinamento atmosferico che peggiora l’impatto della malattia”, ha sottolineato la De Angelis.
Utilizzando il database di Oil Change International’s Shift the Subsidies, il rapporto analizza il supporto proveniente dalle agenzie di credito all’esportazione (ECA) e dalle istituzioni finanziarie pubbliche per lo sviluppo (DFI), così come dalle banche di sviluppo multilaterali (MDB) che i paesi del G20 controllano. Nel conteggio, non sono inclusi i sussidi diretti per l’industria estrattiva attraverso sgravi o agevolazioni fiscali, che sono stimati in 80 miliardi di dollari in più l’anno.
L’Italia è passata da un +1,4 miliardi l’anno per il petrolio e il gas prima dell’Accordo di Parigi a un +2,3 miliardi di euro dopo l’intesa stipulata nella capitale francese, a dimostrazione che le istituzioni finanziarie pubbliche italiane sono ben lungi dal destinare i loro finanziamenti a quanto necessario per limitare l’innalzamento della temperatura globale a 1,5°C.
Le agenzie di credito all’esportazione (ECA) sono state i peggiori attori della finanza pubblica, dal momento che sostengono petrolio, gas e carbone 14 volte di più rispetto alle rinnovabili – sul fronte italiano questa cifra riguarda Sace, tornata alla cronaca in queste settimane per il caso FCA, e ammonta a ben due miliardi di euro l’anno.
“Sace dovrebbe essere uno dei veicoli di supporto alla transizione verso un modello economico e produttivo a basse emissioni, ma anche vettore di una redistribuzione della ricchezza e non di ulteriore accentramento, tanto più nella fase di recessione ampliata dalla crisi COVID19” ha detto Antonio Tricarico di Re:Common, associazione che ha co-pubblicato il rapporto e che da anni monitora l’operato di Sace e le violazioni sull’ambiente ma anche sui diritti umani associate alle operazioni che l’istituzione garantisce. “Vedere dati alla mano quanto Sace sia legata ai colossi dell’energia fossile ci fa capire che il problema è ben più grande di FCA ed forse è arrivato il momento di affrontarlo in maniera sistemica” ha aggiunto Tricarico.
La maggior parte dei finanziamenti a sostegno dell’industria fossile sono confluiti verso i paesi più ricchi. Nove dei primi quindici beneficiari erano paesi ad alto o medio-alto reddito, secondo le classificazioni della Banca Mondiale.
“Le compagnie di carburante fossile sanno che i loro giorni sono contati. I loro lobbisti stanno usando la crisi COVID-19 come copertura per raddoppiare i loro sforzi per assicurarsi i nuovi e massicci aiuti governativi di cui hanno bisogno per sopravvivere”, ha detto Bronwen Tucker, analista di ricerca presso Oil Change International. Secondo gli autori del rapporto, il denaro del governo deve invece sostenere una giusta transizione dai combustibili fossili che protegga i lavoratori, le comunità e il clima – sia in patria che al di fuori dei loro confini – per costruire un futuro più resiliente. Insomma, invece di finanziare un’altra grande crisi – il cambiamento climatico – i nostri governi dovrebbero investire nel futuro. Si comporteranno di conseguenza?