Cosa diranno Chiara, Silvia e Luca di Eni nel 2050?

La torre dell’impianto ENI di Viggiano (Potenza) Foto Credit Davide Lonigro/John Soqquadro, Flickr, CC license by-nc-nd 2.0

[di Antonio Tricarico]

Chi di noi nelle ultime settimane non si è imbattuto nella campagna pubblicitaria martellante quanto innovativa di Eni? Il cane a sei zampe è sempre più green perché la società agisce insieme a Chiara, Silvia, Luca che ogni giorno si dedicano a pratiche virtuose e grazie alle loro azioni possono così garantire a tutto il pianeta una maggiore sostenibilità.

È indubbio che in Italia tanti individui cercano di darsi da fare per salvare la Terra dall’emergenza climatica, inclusi i ragazzi dei Fridays For Future. Per altro tutti gli italiani sono azionisti di Eni dal momento che il 30 per cento del capitale della società è in mani pubbliche, tramite il ministero dell’Economia e la Cassa Depositi e Prestiti. E allora come cittadini ha senso guardare meglio nei numeri di Eni, oltre gli slogan e le animazioni pubblicitarie.

L’occasione ce l’ha offerta proprio l’amministratore delegato di Eni, che lo scorso venerdì ha presentato il nuovo piano strategico dell’azienda, 2020-2023, e per la prima volta un piano di lungo termine al 2050. Atto forse dovuto, date le molte pressioni della società civile e di diversi investitori internazionali affinché le grandi oil majors si pongano il problema di come il loro business di estrarre e bruciare combustibili fossili debba diventare compatibile con la sfida climatica, che richiederebbe invece di mantenere gas e petrolio nel sottosuolo. Una sfida quasi esistenziale per il settore, dimostrata dal fatto che per la prima volta i profitti delle grandi società petrolifere iniziano a calare al punto che alcuni broker recentemente hanno dato addirittura ordine di vendere azioni, a partire dalla stessa  Exxon-Mobil, la più ricca multinazionale petrolifera del globo. La stessa Eni ha chiuso i bilanci del 2019 con un calo dei profitti del 37 per cento, anche se, con un buyback sostanzioso delle azioni, il management cercherà di ridurre i danni per gli investitori e per il loro dividendo, in primis lo Stato italiano.

Ma di fronte ad una possibile crisi esistenziale la risposta di Descalzi &Co sembra essere duplice: nel breve termine non si cambia affatto, anzi puntiamo su più petrolio e gas, raggiungendo un picco di produzione al 2025, mentre nel lungo termine riduciamo le emissioni anche dell’80 per cento, facendo solo gas e renderemo questo combustibile compatibile con il clima grazie all’assorbimento di una parte dell’anidride carbonica con vari espedienti.

Andando in ordine e guardando agli investimenti previsti da Eni per il 2020-2023, per un totale di 32 miliardi di euro, ben tre quarti, quindi 24 miliardi, continueranno ad andare in nuove esplorazioni ed estrazioni di petrolio e gas, perché l’obiettivo è quello di aumentare la produzione complessiva del 3,5% ogni anno fino al 2025. Insomma nuove riserve che una volta estratte saranno bruciate e che nei prossimi anni contribuiranno a infiammare ancora di più il Pianeta.

Una recente analisi del Wall Street Journal  ha messo in luce come negli ultimi anni Eni abbia avuto un tasso di successo nelle esplorazioni del 45 per cento, superiore di ben dieci punti rispetto a tutti i principali competitor mondiali. E così di fatto ha scoperto il doppio di riserve rispetto alla media degli altri. Insomma, l’Eni apre la strada non solo all’Italia, ma al mondo verso un aumento significativo delle riserve sfruttabili di petrolio e gas proprio nei prossimi decenni, con buona pace del clima. La comunità scientifica internazionale ci dice che sin da oggi non è tollerabile espandere la frontiera del petrolio e del gas se vogliamo rimanere sotto il riscaldamento medio del pianeta di 1,5 gradi centigradi rispetto ai livelli pre-industriali ed evitare così il caos climatico. Per “fare la cose per bene”, bisognerebbe addirittura ridurre l’uso dei combustibili fossili dell’80 per cento, almeno nelle economie avanzate, in meno di dieci anni. Una sfida davvero titanica.

Probabilmente per questo i giovani dei Fridays For future hanno recentemente definito Descalzi e l’Eni nei loro manifesti, che prendevano in giro la pubblicità patinata della società, come “climate killer”. Ma questo business nel breve termine genera molta liquidità per la società, che dopo le scoperte si vende subito quote dei nuovi mega-giacimenti ai competitor. Plusvalenze che aiutano i bilanci in una fase difficile, come segnalato negli obiettivi per i prossimi anni.

Guardando avanti, fino a quando continuerà il business delle nuove scoperte? Eni ammette che dovrà investire massicciamente nelle rinnovabili soprattutto aumentando la sua presenza nel retail, ovveronella vendita di energia elettrica, possibilmente da fonti più green. Ma è sorprendente come Descalzi metta nero su bianco che al 2050 l’85 per cento per cento della produzione e del business di Eni ruoterà intorno al gas naturale, con l’assunzione che la sua combustione non abbia impatti sul clima del pianeta. Eppure l’idea che il gas sia il combustibile pulito per la transizione energetica è stata smascherata da molti e da molto tempo, ed in ogni caso se nel 2050 il gas peserà ancora così tanto nel modello di business di Eni, una vera trasformazione, se possibile, sarà di fatto abbondantemente rimandata nel tempo. Infatti al 2050 ben 40 milioni di tonnellate di CO2 emesse da Eni ogni anno saranno assorbite da foreste il cui mantenimento la società finanzierà. In realtà le foreste ci esistono già ed assorbono la CO2, a meno che qualcuno non le voglia devastare. Una logica perversa di compensazioni che le oil majors, come l’Eni, comprano per poi continuare nel loro business di estrazione e combustione di gas. E se non sono foreste, saranno fantomatici progetti tecnologici di cattura, assorbimento e utilizzo della CO2 (CCSU) che ad oggi nessuno è riuscito a realizzare mai su grande scala, nonostante lo spreco di sussidi pubblici negli ultimi vent’anni.

Infine, ancora una volta Eni promette di abbattere la combustione in torcia dei gas associati al greggio estratto, il famigerato e inquinantissimo gas flaring. Ma non si era già impegnata a farlo una decina di anni fa, di fronte ai leader delle comunità nigeriane arrivati a Roma?

In sintesi, la riduzione dell’80 per cento delle emissioni non corrisponderà a un ridimensionamento del business dei combustibili fossili, e in particolare del gas, che continuerà ad essere estratto e bruciato, alimentando così i cambiamenti climatici. Nel 2050, Chiara, Silvia e Luca saranno anziani e assisteranno probabilmente a quotidiane sciagure climatiche. Allora capiranno che a poco servivano le loro azioni virtuose se l’Eni “green” sarà stata quella annunciata da Descalzi.

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