
[di Elena Gerebizza]
La Commissione europea ha dato il via libera all’acquisto del rigassificatore di Livorno da parte di Snam e della First States Investment International (FSI), società parte della Mitsubishi UFJ Trust and Banking Corporation, uno dei più grandi asset managers del Giappone.
Secondo la Commissione il passaggio non sarebbe in conflitto con la normativa europea in materia di concorrenza, in quanto le società non sarebbero competitors nei settori in cui entrambe operano. Oltre a questo, la normativa antitrust in essere sarebbe una ulteriore garanzia in materia di concorrenza.
Il progetto, noto con il nome di OLT – Offshore LNG Toscana, è stato costruito su spinta della multiutility Iren e dalla compagnia energetica tedesca E.On dopo oltre un decennio di travagliate vicissitudini di cui abbiamo parlato qui. L’impianto è un FSRU – Floating and Storage Regassification Unit, e ha una doppia funzione: la prima è che trasforma il gas naturale ricevuto dalle navi metaniere dallo stato liquido a quello gassoso, e lo trasmette alla rete nazionale attraverso un gasdotto di circa 36 km; la seconda è che può stoccare circa 137mila m3 di gas. Dopo la sua consegna dai cantieri di Dubai nell’estate del 2013 e il successivo collaudo tecnico alla fine dello stesso anno, il terminale è rimasto sottoutilizzato per diversi anni, svolgendo principalmente servizio di stoccaggio.
Auto-incensato dalla OLT come “un caso di eccellenza per il settore del gas naturale liquefatto” dal punto di vista ingegneristico, il terminale – che ha una capacità di rigassificazione autorizzata di 3,75 miliardi Sm3 – è stato contestato pesantemente dal comitato contro il rigassificatore di Livorno e da Vertenza Livorno anche per il suo impatto ambientale: il rigassificatore offshore si trova infatti a 22 chilometri dalla costa toscana, all’interno del parco naturale marino internazionale del Santuario dei Cetacei. Oltre a questo, il suo costo esorbitante – oltre 800 milioni di euro, a fronte di un costo preventivato di circa 250 milioni – e l’aiuto garantito tramite una legge ad hoc che garantiva la copertura del 71,5 per cento dei ricavi “attesi” alla OLT, hanno “fatto scopa” con il prestito della Bei di 240 milioni di euro e con la garanzia pubblica del governo italiano. Così Iren e Uniper (che è subentrata a E.On qualche anno fa) hanno potuto dormire sonni tranquilli nonostante il sottoutilizzo dell’impianto fino alla fine del 2018.
Poi nel 2019 sono arrivati gli annunci della vendita, prima da parte di Uniper e poi di Iren, che hanno ceduto la proprietà dell’impianto per un valore di circa 745 milioni di euro complessivi. Ad oggi, il progetto è controllato da Snam con il 49,07% della proprietà, seguita da FSI (48,24%) e da Golar LNG, l’armatore proprietario della nave gasiera adattata a rigassificatore e deposito di gas (2,69%).
Secondo le informazioni fornite da un portale di settore, il 36 % del gas arrivato a Livorno nel 2019 proveniva dagli Stati Uniti: si tratterebbe quindi con grande probabilità di gas derivato da operazioni di fracking che hanno un impatto ambientale e sul clima di molto superiore di quello dell’estrazione convenzionale. Gli altri paesi di provenienza sarebbero Algeria, Egitto, Nigeria, Norvegia, Perù, Qatar, Trinidad & Tobago e altri terminal europei come Spagna e Olanda.
L’impianto sarebbe ora oggetto di lavori di modifica per adattare il terminal a svolgere anche servizi di “small scale LNG” ovvero di carico di gas naturale liquefatto su navi metaniere di piccola taglia che possano trasportarlo presso i depositi costieri utilizzati per il rifornimento di navi merci o da crociera che utilizzano il gas come combustibile.
L’acquisizione rientra perfettamente nel piano di espansione di Snam, che secondo quanto dichiarato dal suo amministratore delegato Marco Alverà vedrebbe proprio nell’LNG “un settore decisivo per abilitare la transizione energetica e favorire la mobilità sostenibile, con una domanda globale destinata a raddoppiare da qui al 2035, raggiungendo i 600 milioni di tonnellate per anno”. Previsioni che come sempre andrebbero verificate. Come tutto poi si concili con la lotta ai cambiamenti climatici è tutta un’altra storia.