Comunicato stampa – Re:Common, Global Witness e Corner House
L’agenzia anti-corruzione nigeriana, l’Economic and Financial Crime Commission (EFCC) di applicazione della legge nigeriana, ha formalmente accusato di riciclaggio di denaro l’ex ministro della Giustizia Mohammed Adoke (in carica fra il 2010 e il 2015) e l’ex ministro del Petrolio Dan Etete (in carica dal 1995 al 1998). Il caso è incentrato sulla vendita della licenza petrolifera per il blocco OPL 245, avvenuta nel 2011, e fa seguito ad anni di indagini e ricerche sul caso da parte delle Ong Global Witness, Re: Common e Corner House.
Antonio Tricarico di Re: Common ha dichiarato: “Il governo italiano deve porre seri interrogativi sul coinvolgimento di alti dirigenti Eni in un accordo che ora vede alti esponenti di passati governi nigeriani sotto accusa per reati molto gravi da parte delle autorità locali”.
“Ci complimentiamo con le autorità nigeriane per la loro lotta contro la corruzione, senza paure o favoritismi, che fa sì che si prospettino conseguenze reali per coloro che hanno preso parte ad affari oscuri come OPL 245” ha detto Simon Taylor, direttore di Global Witness.
“Questo passaggio costituisce un grande passo in avanti, dal momento che le autorità nigeriane mostrano di fare sul serio nella lotta contro la corruzione. I loro omologhi europei e americani devono intensificare le loro attività attraverso una piena collaborazione e perseguendo tutti gli altri colpevoli di questo affare corrotto” ha dichiarato Nicholas Hildyard di Corner House.
Le accuse si concentrano sul trasferimento di 801 milioni di dollari in proventi della transazione, autorizzato da Adoke, in conti bancari controllati da Dan Etete. Le accuse sono state depositate presso l’Alta corte federale di Abuja il 16 dicembre, in base a quanto risulta dai documenti del tribunale visionati da Global Witness.
L’ingente blocco petrolifero OPL 245 è stato assegnato nel 1998 per 20 milioni di dollari – una frazione del suo valore attuale – alla Malabu Oil & Gas, una società segretamente di proprietà dell’allora ministro del Petorlio Dan Etete. Il blocco è stato poi ceduto a Shell ed Eni nel 2011 in cambio di un pagamento di 1,1 miliardi di dollari, trasferiti alla Malabu invece che allo Stato nigeriano. L’ex ministro della Giustizia Adoke ha agito come un mediatore nell’affare per proprio conto. Questo accordo ha privato la Nigeria di una somma equivalente all’80% del suo bilancio 2015 per la sanità, in un Paese dove oltre il 60% della popolazione vive in condizioni di povertà.
Shell ed Eni hanno sempre negato di sapere che il denaro versato sarebbe andato a Malabu, ma i documenti visti da Global Witness dimostrano che le aziende avevano strutturato l’affare in modo che i soldi arrivassero in ultima istanza alla Malabu.
In passato una corte inglese aveva affermato che 523 milioni di dollari del pagamento effettuato da Shell ed Eni fossero andati a presunti “sodali dell’[ex] presidente nigeriano Goodluck Jonathan.
Shell ed Eni sono sotto inchiesta da parte dell’Ufficio della Procura della Repubblica di Milano, che ha indicato come sospetti Dan Etete, Shell, Eni e il passato e presente amministratore delegato della multinazionale italiana. Eni ha “auto-riferito” alle autorità statunitensi. Nel febbraio del 2016, la guardia di finanza olandese, che lavora congiuntamente con le autorità italiane, ha effettuato una perquisizione, con susseguente sequestro di documenti, nella sede della Shell a L’Aia.
Il blocco di petrolio al largo delle coste della Nigeria è di proprietà di Eni e Shell (ognuna ha il 50% delle quote) e può contare su riserve stimate in 9,23 miliardi di barili di petrolio. Attualmente la Shell detiene 11,75 miliardi di barili di riserve equivalenti comprovate di petrolio, Eni detiene 6,89 miliardi di barili di riserve accertate di petrolio equivalente.
L’ex ministro Mohammed Adoke ha sottolineato di non aver beneficiato dell’accordo, che avrebbe evitato al governo di Abuja una causa per violazione del contratto con Shell per un potenziale costo di 2 miliardi di dollari. Adoke ha definito le accuse “orchestrate per screditarmi agli occhi del pubblico, al fine di soddisfare i capricci di alcuni soggetti potenti con voglia di vendetta”.
Shell ha insistito sul fatto di non aver pagato direttamente Malabu e che tutte le transazioni in denaro sono passate su un conto di deposito a garanzia tenuto dal governo della Nigeria. In risposta alla richiesta avanzata da Global Witness di commentare i fatti nel mese di aprile 2015, la Shell ha dichiarato: “Non siamo d’accordo con le premesse alla base delle varie dichiarazioni pubbliche fatte dal Global Witness sulla Shell in relazione al caso OPL 245”. La compagnia non ha risposto alle richieste di commentare avanzate di recente.
Eni ha risposto alle domande sull’affare nel maggio del 2016 evidenziando che “sono state condotte delle indagini indipendenti commissionate dalla Vigilanza di Eni e dal Collegio Sindacale a studi legali americani specializzati sul tema, che non hanno riscontrato alcuna prova di un comportamento illegale da parte della Società”.