Bollette: il costo del business as usual

Non passa settimana senza che il ministro per la Transizione ecologica (sic) Roberto Cingolani faccia parlare di sé. Prima accusa gli ambientalisti di essere peggio della catastrofe climatica e riesuma il nucleare, poi si fa portavoce di una campagna a favore del gas, che legittima l’ostinata ossessione per le fossili del Sistema Italia. Con lui Snam, Eni, Enel, Edison e A2A hanno trovato un partner d’acciaio e uno strenuo difensore del gas fossile, anche ora che è calata la scure degli aumenti in bolletta.

Mentre le famiglie si preparano a un rincaro di almeno 500 euro l’anno, ad ascoltare le dichiarazioni del ministro, il dibattito mediatico e quello sui social sembra andare in due direzioni: da una parte c’è chi dà la colpa del caro energia agli investimenti “green”, dall’altra chi chiede di accelerare il passaggio alle rinnovabili a qualsiasi costo. Sullo sfondo, multinazionali dell’energia e grandi capitali finanziari si godono il match, consapevoli che, se il modello energetico e produttivo rimarrà lo stesso, ovvero centralizzato e fondato su mega-impianti, a uscirne vincitori saranno in ogni caso loro.

La ripresa delle attività industriali che si inizia a intravedere ha riportato i consumi di gas ai livelli del 2019 e persino il carbone è in fase di risalita. Al contempo, la temporanea interruzione delle attività petrolifere negli Stati Uniti causata dall’uragano Ida e la riduzione delle forniture di gas Russo verso l’Europa – strategia con la quale il Cremlino vuole imporre il nuovo gasdotto Nord Stream 2 – ha portato ad una contrazione dell’offerta facendo schizzare i prezzi verso l’alto. Evidentemente, ci vuole molto più di una pandemia globale e 4,5 milioni di morti affinché nulla sia davvero come prima.

Sebbene l’aumento dei prezzi sia generalizzato, ci sono delle differenze in come ciascun governo ha deciso di affrontarlo: mentre in Italia si parla di aumenti del 40% in bolletta, Regno Unito e Spagna considerano misure orientate a stabilire un tetto massimo sul prezzo regolamentato del gas, anche mettendo le mani nelle tasche delle grandi aziende energetiche, per impedire che siano le famiglie a reddito più basso a pagare il costo più alto.

Quindi non ci sono dubbi: il modello fossile è causa e artefice di quanto sta avvenendo, ma se ne serve per demonizzare il cambiamento, definendo la transizione “una storia per ricchi” come fatto dall’amministratore delegato di Eni Claudio Descalzi qualche mese fa, o per radical chic, sempre a dar ascolto al ministro Cingolani. Nel frattempo, il Cane a sei zampe faceva registrare un utile netto di 1,2 miliardi nel semestre, lasciandosi così alle spalle la crisi del Covid, mentre il governo si prepara a intascare il dividendo e a dormire sonni tranquilli.

La stessa politica che ha scommesso tutto sul gas, ritardando ancora una transizione che si sarebbe dovuta avviare almeno un decennio fa, ora sceglie di scaricare il costo di una scelta sbagliata sulle fasce più deboli. Quello che si sta materializzando non è il costo della transizione, ma di decenni di inazione, o peggio di intenzionale sostegno a un modello inquinante, ingiusto e radicato nelle fossili che il Sistema Italia incarna. Un modello che deve essere messo in discussione il prima possibile.

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