Azerbaijani Laundromat, lo scandalo si allarga

Danske Bank, formerly Northern Bank, foto Can Pac Swire, flickr (CC BY-NC 2.0)

[di Elena Gerebizza]

Il 3 luglio scorso, la testata danese Berlingske ha pubblicato un’inchiesta che riguarda un mega scandalo di riciclaggio internazionale, articolo ripreso in Italia dal sito Lettera 43.

Il reportage è incentrato sull’indagine portata avanti negli ultimi sei mesi dalla Danske Bank e dalle autorità danesi, che ha fatto emergere come fra il 2007 e il 2015 siano transitati attraverso la sede di DanskeBank in Estonia circa 8 miliardi di euro “sospettati” di riciclaggio internazionale. Parliamo della stessa filiale finita nell’occhio del ciclone in seguito all’inchiesta giornalistica Azerbaijani Laundromat nel settembre del 2017. I soldi sarebbero passati dai conti bancari di una ventina di società che, secondo gli inquirenti danesi, avrebbero legami diretti in Russia e in Azerbaigian.

Il caso ci dice che solo in seguito all’attivarsi delle autorità danesi e dell’istituto di credito è stato possibile definire la reale entità del giro di soldi transitato in Estonia, di molto superiore ai 2,5 miliardi di euro inizialmente tracciati nell’inchiesta Azerbaijani Laundromat. Lo scandalo che già a settembre aveva investito il Consiglio D’Europa, assume oggi una dimensione ancora più preoccupante.

Nell’aprile del 2018, il Consiglio d’Europa aveva chiuso la propria indagine interna, da cui emergevano i nomi di diversi parlamentari che secondo l’organismo per la tutela dei diritti umani avevano alte probabilità di essere parte di uno schema di corruzione internazionale con al centro la cosiddetta “democrazia del caviale” e i suoi interessi in Europa. Il rapporto e questa nuova inchiesta giornalistica ci ricordano che l’Azerbaigian è un Paese che a detta degli osservatori internazionali dell’OSCE vive un profondo deficit democratico e una reale restrizione delle libertà di stampa, di associazione, della libera espressione. Un Paese le cui carceri detengono oltre cento prigionieri politici, che è in mano alla stessa élite dall’indipendenza dall’Unione Sovietica nel 1991 e che continua evidentemente ad avere un legame con la Russia molto più stretto di quanto sia finora emerso.

Flussi di denaro provenienti da entrambi i paesi sono infatti transitati tramite le stesse società al centro dell’indagine che riguarda Danske Bank.

Preso atto di questo, forse le osservazioni più preoccupanti sono che alcuni dei beneficiari dei bonifici erano parlamentari dei vari stati europei – come Luca Volontè, accusato di corruzione dalla Procura di Milano – o ufficiali pubblici (ne abbiamo parlato qui: “TAP e Azerbaijani Laundromat: cosa c’è da sapere” e qui: “TAP e Azerbaijani Laundromat – lo scandalo continua“), come ad esempio Kalin Mitrev, il direttore esecutivo bulgaro della Banca Europea per la ricostruzione e lo sviluppo (EBRD/BERS), una delle banche pubbliche che ha elargito prestiti per centinaia di milioni al gasdotto TAP e alle altre sezioni del Corridoio sud del gas, opera in cui l’Azerbaigian ha un interesse determinante.

L’altro elemento è che una parte dei soldi versati nelle società offshore – e transitati attraverso la filiale estone di Danske Bank – proviene dalla International Bank of Azerbaijan, la principale banca di sviluppo pubblica del paese, come emerso dal database (parziale) reso pubblico dalla rete di giornalisti investigativi OCCRP a settembre.

Non vogliamo trarre conclusioni troppo affrettate, ma certo vedere flussi di miliardi di euro uscire da paesi come l’Azerbaigian e la Russia attraverso schemi societari opachi come quelli al centro di questa indagine fa pensare a una seria deviazione di fondi a danno diretto delle popolazioni (impoverite) di questi paesi e a vantaggio delle élite al potere.

“The Azerbaijani Laundromat” (Fonte: Organized Crime and Corruption Reporting Project/The Guardian)

Risorse generate in buona parte dalla vendita di petrolio e gas, al centro dell’economia di entrambi i paesi ex sovietici. Dovrebbe bastare questo per accendere un semaforo rosso di fronte a coloro che ancora non hanno ben chiaro il livello di pervasività e l’interconnessione di interessi privatistici e mega investimenti che hanno al centro gli stessi attori.

Il governo italiano appena insediato e il suo ministro dell’economia Tria non sono riusciti a valutare il nuovo finanziamento al gasdotto TAP in questo contesto. L’inchiesta del Berlingske è uscita il giorno prima del voto di un prestito pubblico di 500 milioni di euro alla società TAP-AG da parte della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo, approvato con il voto favorevole dell’esecutivo giallo-verde.

Il ministro e il resto della compagine di governo hanno perso l’occasione per tradurre in pratica il “cambiamento” declamato in campagna elettorale. Non lo hanno fatto perché forse gli interessi di cui il TAP – e il Corridoio Sud del Gas – sono veicolo, sono sistemici anche per questo governo e per le relazioni che hanno stabilito con i vari “alleati” internazionali. Difficile immaginare un “cambiamento” in meglio se le basi sono queste.

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