Purtroppo non esiste solo l’accaparramento delle terre. La caccia alle risorse è infatti ad ampio spettro, come dimostra un rapporto pubblicato di recente dalle organizzazioni britanniche che compongono la campagna contro il gas grabbing in Algeria.
Nello studio, intitolato “Come rinforzare le dittature, l’accaparramento di risorse da parte del Regno Unito e i diritti umani in Algeria”, si evidenzia come i rapporti tra Londra e il regime algerino siano pesantemente basati sullo sfruttamento dei combustibili fossili e sulla vendita di armi.
In particolare, negli ultimi anni, la preoccupazione principale del Foreign Office e del ministero del Commercio con l’estero è di garantire alle aziende britanniche la possibilità di mettere le mani sulle ingentissime riserve di gas del Paese nord-africano. Il tutto senza curarsi in alcun modo di quali possano essere le conseguenze per la popolazione locale, governata con piglio autoritario dal presidente Abdelaziz Bouteflika dall’ormai lontano 1999.
Gli esponenti della campagna, tra cui spiccano le organizzazioni Platform e Algeria Solidarity Campaign, ricordano come il Regno Unito non abbia imparato nulla dalle lezioni del passato, ovvero quando faceva affari senza porsi troppe remore con dittatori della risma di Muammar Gheddafi. Tutta la retorica sulla democrazia e la protezione dei diritti umani è allora fine a se stessa, se poi si continuano a condurre lucrosi affari con governi che di democratico hanno ben poco come quello di Algeri.
Anzi, l’esecutivo guidato da David Cameron appare molto intenzionato a rafforzare questi legami “controversi”. Per il Regno Unito, l’Algeria starebbe compiendo importanti passi in avanti nella tutela dei diritti umani. Per numerose e stimate organizzazioni, tra cui Amnesty International, è in atto l’applicazione di una sorta di doppio standard: da una parte l’Algeria firma importanti trattati e siede nel consiglio sui diritti umani delle Nazioni Unite, dall’altra non concede nemmeno agli osservatori dell’ONU la possibilità di entrare nel Paese per monitorare la situazione. Un evidente corto-circuito su cui però Londra preferisce glissare.
Intanto le navi che trasportano il gas algerino in forma liquefatta continuano a far approdo presso il terminal portuale del Kent, attualmente in fase di espansione. Si calcola che proprio sulla costa meridionale dell’Inghilterra in un futuro non troppo lontano potrebbe giungere una quantità di gas algerino pari al 10 per cento del fabbisogno annuale britannico. D’altronde la potente oil corporation BP in Algeria detiene i diritti di sfruttamento su due enormi giacimenti, con un totale degli asset stimato in circa sei miliardi di euro. Quello della BP è un “matrimonio” di lunga data, visto che il primo contratto è stato siglato nel 1964. E sembra destinato a proseguire per molti anni ancora.