Abbiamo fatto 13. Tanti sono gli anni di azionariato critico condotto da ReCommon, includendo anche CRBM, la realtà da cui l’associazione ha preso il testimone nel gennaio del 2012. Abbiamo iniziato mettendo pressione sulle multinazionali del settore energetico, per poi incalzare anche grandi banche e assicurazioni.
Azionariato critico per noi vuol dire dar voce ai territori e alle comunità che li abitano, siano essi in Italia o in altre aree del Pianeta, sia in maniera diretta, portando attivisti alle assemblee degli azionisti, che indiretta, fungendo da megafono per le loro istanze. Vuol dire porre domande scomode dopo essersi “spulciati le carte” e essere stati sul campo. In più di un caso vuol dire raggiungere dei risultati importanti, come Enel che dice basta al carbone insanguinato dalla Colombia o Generali che inizia a disinvestire dal comparto dei combustibili fossili. Ma la strada è ancora lunga. Per questo non cessiamo di mettere pressione su multinazionali che hanno compiuto solo qualche passo nella giusta direzione.
La stagione delle assemblee degli azionisti per noi si è aperta il 15 aprile, quando abbiamo fatto presente a UniCredit che non va bene “predicare bene” (dotarsi di politiche ambientali molto evolute) e “razzolare male” (di fatto non rispettando quelle stesse politiche). Ma il clou di questo periodo per noi così intenso è proprio in questi giorni: oggi “doppietta” Intesa Sanpaolo-SNAM, domani assicurazioni Generali. A maggio ci saranno i big dell’energia: Eni (il 12) ed Enel (il 20).
Certo, così come accaduto l’anno scorso, sono assemblee “anomale”. Tutto si svolge a porte chiuse, quasi senza contraddittorio e con una scarsissima copertura mediatica. Questo non vuol dire che il nostro azionariato critico finisce in naftalina, tutt’altro. Per fortuna si possono porre domande scritte, alle quali le società per legge sono tenute a rispondere prima dell’assemblea. E poi ci sono le iniziative come quella organizzata insieme a Greenpeace davanti alle filiali torinesi di Intesa Sanpaolo. Proprio quest’ultima si definisce “banca dei territori”, ma di tutela dell’ambiente e del clima sembra curarsene poco. A uno dei nostri quesiti sulla propria intenzione di abbandonare il carbone, universalmente riconosciuto come il più inquinante tra i combustibili fossili, Intesa ha risposto che entro l’anno si darà l’obiettivo di una graduale sospensione dei finanziamenti all’industria estrattiva. Di fronte a tali impegni insufficienti e poco ambiziosi, continueremo a tenere alta l’attenzione sulle prossime mosse del gruppo torinese.
Snam dal canto suo si conferma “a tutto gas”. Le risposte alle nostre domande sui diversi terminal di gas naturale liquefatto controllati da una delle più importanti società mondiali per la gestione e realizzazione di infrastrutture energetiche e trasporto di gas confermano che il business è in espansione. Sono infatti previsti in Sardegna due nuovi impianti, entrambi offshore e sul modello di OLT Toscana, controllato dalla stessa Snam. Saranno approntati a Portovesme e a Porto Torres, con l’apertura della procedura VIA attesa entro la fine del 2021 per il primo e nel 2022 per il secondo. Snam non ha abbandonato nemmeno il progetto della dorsale del gas in Sardegna, mettendosi di traverso al cambio di modello che proprio sull’isola avrebbe il potenziale più alto: quello incentrato sullo sviluppo di rinnovabili su piccola scala, dal basso e su base comunitaria. Le risposte della società confermano anche l’espansione del gasdotto TAP, di cui Snam vorrebbe vedere a breve un aumento di capacità, il tutto mentre a Lecce uno dei manager dell’azienda è tra gli imputati del processo per disastro ambientale causato dalla costruzione del gasdotto. Infine il fracking: sì perché nel 2019 e 2020 il 50% del gas importato da OLT Toscana proviene dagli USA, in barba al clima e alla sostenibilità che Snam sbandiera ai quattro venti.
Insomma, c’è da tenere veramente la guardia molto alta e su più fronti.