[di Caterina Amicucci]
A un anno dal referendum, due sentenze in una settimana affondano i progetti di privatizzazione del governo e del Comune di Roma. Solo venerdì scorso la Corte Costituzionale aveva dichiarato illegittimo il provvedimento del governo Berlusconi, che lo scorso agosto riproponeva sotto mentite spoglie i contenuti del decreto Ronchi abrogato dal voto popolare di giugno del 2011. Provvedimento Incostituzionale, aveva affermato la Consulta.
Oggi il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso dei consiglieri di opposizione contro la forzatura tentata dalla giunta Alemanno, che aveva furbescamente impedito la discussione delle migliaia di ordini del giorno presentati in aula, così da portare a casa in fretta la vendita del 21 per cento di ACEA. Un “trofeo” al quale il discusso primo cittadino della Capitale non voleva rinunciare a nessun costo. E invece l’alta corte amministrativa lo ha sbugiardato, stabilendo che il provvedimento viola lo statuto comunale.
Per settimane il Comitato Romano Acqua Pubblica, insieme alla rete “Roma non si Vende”, ha presidiato il Campidoglio, vedendosi costantemente negato l’accesso in aula per seguire i lavori del consiglio comunale. Un ulteriore atto di illegalità.
Un barlume di speranza per i cittadini, un monito per la politica: la volontà popolare non può essere calpestata impunemente . E nemmeno le regole della democrazia.
La battaglia per il rispetto integrale dell’esito referendario va avanti di fronte ad una politica arrogante e sorda, che ha perso ogni legame con i cittadini che avrebbe il compito di rappresentare. Una battaglia probabilmente destinata a proseguire nelle aule dei tribunali. Lo slogan “Si scrive acqua, si legge democrazia”, con il quale i comitati per l’acqua hanno conquistato il consenso degli italiani, continua ad essere quanto mai azzeccato.