A sostegno dei 15 di Stansted e della loro lotta contro le deportazioni illegali

Solidarietà agli Stansted15. Foto dalla pagina facebook di End Deportations: https://www.facebook.com/EDeportations/

[di Elena Gerebizza]

Un atto di coraggio, più che un’azione diretta, quello delle 15 donne e uomini che la notte del 28 marzo 2017 si sono incatenati sotto un volo charter in partenza per il Ghana e la Nigeria. Il volo è uno dei centinaia di charter che il governo britannico usa per deportare illegalmente uomini e donne di origini straniere che in alcuni casi hanno passato tutta la loro vita nel Regno Unito.

Il 19 marzo presso il tribunale di Clemsford Crown è iniziato il processo ai 15 attivisti. L’accusa per loro è la più grave: terrorismo. La pena che rischiano è il carcere a vita.

Il volo era ancora parcheggiato su una delle piste di servizio dell’aeroporto di Stansted, nel Regno Unito. L’azione non ha intralciato gli aerei commerciali, né creato pericolo alcuno per le operazioni di atterraggio e volo dei velivoli di linea. Ha però fermato la deportazione di una cinquantina di persone, alcune arrivate nel Regno Unito quasi 18 anni fa, con genitori in cerca di fortuna, migranti o residenti nelle zone impoverite del Commonwealth. Diventati maggiorenni, a questi giovani uomini e donne non viene riconosciuto il diritto di rimanere dove vivono le loro famiglie, e dove hanno vissuto tutta la loro vita. Devono ritornare nel paese da cui provengono, anche se lì non conoscono nessuno.

Gli attivisti di End Deportations denunciano da anni le misure violente e brutali messe in piedi dal governo inglese ben prima della Brexit. Violenze che le persone subiscono anche sugli stessi voli. In passato, quando le deportazioni avvenivano usando voli di linea, si sono registrate proteste e denunce degli altri passeggeri. Si parla di oltre 1500 persone che negli anni sono state deportate e hanno subito violenza da parte della sicurezza privata che opera per conto del governo, in molti casi richiedenti asilo o giovani appena maggiorenni separati brutalmente dalle loro famiglie.

Persone che, per usare la narrativa dell’estrattivismo, vivono “nella zona del non essere”, quella dove violenza e abusi sono all’ordine del giorno, dove lo stato non è garante di diritti, ma attore che si impone senza dare niente in cambio, dove l’estrazione sistemica espropria le persone di tutto, anche dei propri corpi e della stessa esistenza. Le deportazioni sono una delle misure più brutali che vengono messe in atto nella più totale violazione dei diritti, un atto inimmaginabile per qualsiasi cittadino europeo o del Regno Unito, ma pane quotidiano nella zona del non essere trasversale al nord e al sud del mondo. Deportazioni che avvengono nell’ombra, senza annunci eclatanti, ermeticamente distinte dalle tribune politiche della zona dell’essere, dove domina la retorica di destra dell’aiutiamoli a casa loro, e la pratica dei mega finanziamenti alla Libia e la Turchia che generano violazioni dei diritti e violenze ancora più macroscopiche. Anche in altri paesi europei, Italia inclusa.

Numerose le iniziative che chiedono al primo ministro inglese Theresa May di far cadere le accuse di terrorismo contro gli attivisti, e di fermare le deportazioni dal Regno Unito che violano i diritti della persona. Tra queste la lettera firmata da numerose personalità del mondo della cultura e della società civile inglese e americana: https://www.theguardian.com/uk-news/2018/mar/16/secret-deportation-flights-must-stop

e una petizione online che chiunque può firmare: https://actionsprout.io/1631AC

Forse il crimine degli attivisti non è avere violato il protocollo di sicurezza dell’aeroporto di Stansted, ma avere portato sotto gli occhi di tutti l’ingiustizia e la violenza con cui lo stato inglese opera due pesi e due misure sulla base di considerazioni razziste e discriminanti che vanno contro lo stato di diritto su cui lo stato inglese si fonda.

L’azione degli Stansted 15 ha portato luce su questa violenza di stato e per questo ha tutta la nostra solidarietà.

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