Standing Rock, Banca Intesa non risponde ai nativi. E alla Casa Bianca arriva Trump…

Proteste contro il Dakota Access Pipeline, Minnesota – foto Fibonacci Blue, Flickr, CC BY 2.0

A pochi giorni dall’insediamento del nuovo presidente degli Stati Uniti, “l’amico dei petrolieri” Donald Trump, aumentano i timori su un possibile ritorno in auge del Dakota Access Pipeline. Il progetto, dal costo previsto di 3,7 miliardi di dollari, prevede la realizzazione di un oleodotto lungo 1.700 chilometri che dovrebbe trasportare fino in Illinois 400mila barili di petrolio ogni giorno dai campi petroliferi detti Bakken e Three Forks nel Nord Dakota. L’opera aveva ricevuto un primo “corposo” stop negli ultimi giorni del 2016, quando l’Army Corps of Engineers aveva dichiarato ufficialmente di non essere intenzionata a rilasciare i permessi necessari per l’inizio dei lavori sotto un segmento del fiume Missouri e vicino a terre sacre ai nativi d’America.

Nel frattempo il coordinamento della First Nation di Standing Rock fa sapere che delle 17 banche potenzialmente coinvolte nel finanziamento della mega-infrastruttura, ben dieci hanno declinato o non hanno risposto alla richiesta di incontro fatta pervenire loro dai nativi americani per discutere della questione. Tra queste anche Intesa Sanpaolo, l’unico istituto di credito italiano coinvolto in questa complessa vicenda.

Il momento è cruciale e la protesta non si ferma. Nelle ultime settimane numerose sono state le azioni dimostrative, con tanto di cartelloni giganti esposti a Times Square, occupazioni delle sedi della banca a stelle e strisce Wells Fargo, Citi Bank e US Bank e uno striscione fatto calare in diretta nazionale allo stadio della compagine di football americano dei Minnesota Vikings.

Negli Stati Uniti migliaia di persone hanno chiuso i loro conti correnti presso le 17 banche “incriminate”.

Ancora attiva è invece la petizione online per chiedere agli istituti di credito di non prestare denaro per la Pipeline: http://petitions.signforgood.com/NoDAPLbanks

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