Quando gli investitori sono “più uguali” di noi

Foto: Dörthe Boxberg/Campact

[di Antonio Tricarico]

Alla fine la Commissione europea si è pronunciata su uno dei dossier più spinosi del negoziato TTIP, l’accordo di libero scambio tra Unione Europea e Stati Uniti, tanto sostenuto anche dal governo italiano. Ovvero la creazione di tribunali speciali privati per gli arbitrati sugli investimenti in cui le multinazionali Usa potrebbero portare in giudizio i paesi europei qualora questi ultimi cambino le loro legislazioni ambientali, sociali e di sicurezza, impattando in qualche modo i profitti attesi per i capitalisti a stelle e strisce. Lo stesso meccanismo sarebbe disponibile per gli investitori europei oltre Atlantico. In inglese tale meccanismo perverso si chiama Investor-to-State Dispute Settlement (con l’acronimo ISDS).

Di fronte ai timori sollevati da più parti al proposito, la scorsa estate la Commissione europea ha avviato una consultazione pubblica. Ma la domanda posta nel questionario on-line non era se i cittadini europei volessero i tribunali privati o no, bensì come dovessero essere cambiate le procedure dei tribunali stessi. Ciononostante in ben 150mila si sono presi la briga di scrivere a Bruxelles. La stragrande maggioranza, ben il 97%, ha affermato la sua netta contrarietà a questi nuovi meccanismi giudiziari che possono essere usati solo dagli investitori internazionali. I singoli cittadini e i governi, infatti, possono rivolgersi solo ai tribunali nazionali qualora vogliano citare in giudizio le imprese.

Martedì la Commissione europea ha reso pubblica la sua interpretazione dei risultati della consultazione. Snobbando l’opposizione popolare al provvedimento, ha affermato che intende promuovere un’agenda di riforma dell’ISDS per renderlo più efficace negli accordi sugli investimenti. Un ulteriore strappo democratico da parte dei burocrati di Bruxelles, che infiammerà ancora di più gli animi contro l’accordo TTIP.

Per indorare la pillola, la Commissione ha fatto sapere che organizzerà altre consultazioni, ma nel frattempo ha lasciato inalterato il testo che prevede lo stesso dispositivo nell’accordo di libero scambio tra UE e Canada, che dovrebbe essere ratificato dal Parlamento europeo nel 2015. La società civile ha richiesto a gran voce che anche questo accordo sia rivisto prima della sua attuazione, ma la Commissione sembra voler fare orecchie da mercante. L’approccio seguito nel negoziato con il Canada Da Bruxelles viene già venduto come l’agenda riformata dell’ISDS. Ma leggendo il testo emergono con chiarezza tutti i rischi e quanto alla fine il potere rimanga solo dalla parte degli investitori, a svantaggio delle imprese nazionali e dei cittadini.

Non solo diversi settori della società civile, ma anche parti dello stesso settore privato sono allarmati dall’ISDS nell’accordo TTIP, perché preoccupati dell’auto-esautorazione da parte dei governi europei del potere di attuare politiche industriali a vantaggio delle economie nazionali. Si pensi solamente ai recenti interventi governativi sull’Ilva, per esempio.

Per altro i casi delle multinazionali straniere contro i governi europei iniziano già a fioccare, sulla base degli accordi bilaterali sugli investimenti esistenti. E nessuno è immune. Nel febbraio 2014, diversi investori stranieri di Belgio, Francia e Germania hanno citato in giudizio al tribunale privato ospitato presso la Banca mondiale il governo italiano per la revisione al ribasso dei sussidi al fotovoltaico. E’ il primo caso che vede il governo italiano sul banco “privato” degli imputati. Emblematico che gli investitori abbiano scelto questa strada e non la giustizia ordinaria in Italia, e in un secondo momento in caso quella europea (vedi Corte europea di giustizia).

In ogni caso la battaglia sull’ISDS ed il TTIP continua. Prossima fermata Bruxelles, 4 febbraio, per le proteste fuori della Commissione europea quando riprenderà il negoziato con gli Usa.

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