L’inganno del biodiversity offsetting, il caso Rio Tinto

copertina della pubblicazione Rio Tinto’s biodiversity offset in Madagascar

In occasione dell’assemblea degli azionisti della multinazionale mineraria Rio Tinto, in programma oggi a Londra, Re:Common e il World Rainforest Movement lanciano il loro rapporto “Rio Tinto’s biodiversity offset in Madagascar: double landgrab in the name of biodiversity”.

Negli ultimi anni le compagnie minerarie hanno ampiamente promosso lo strumento del biodiversity offsetting per dare una spennellata di verde all’intero settore. In pratica queste imprese sostengono che la distruzione di biodiversità in una località può essere “compensata” tramite la promessa di proteggere o “ricreare” la biodiversità altrove. Un progetto nella regione di Anosy, nel sud-est del Madagascar, è stato in particolare indicato come un vero e proprio modello di biodiversity offsetting per il settore minerario.

Rio Tinto e i suoi partner conservazionisti reputano che la strategia della corporation non solo compenserà la perdita di biodiversità, ma che le attività minerarie avranno addirittura un effetto positivo sulla stessa biodiversità in assoluto.

Ma che cosa pensano di questo progetto di biodiversity offsetting le popolazioni direttamente impattate dalle operazioni della Rio Tinto?
Una missione sul campo tenuta nell’autunno del 2015 da esponenti di Re:Common e del World Rainforest Movement ha riscontrato che la realtà dei fatti è ben diversa da quanto mostrano le foto inserite nelle pubblicazioni patinate diffuse a livello internazionale dalla multinazionale.

Ben poche sono state le informazioni messe a disposizione delle comunità su che cosa siano davvero i progetti di biodiversity offsetting. Gli abitanti dei villaggi non sapevano che quello che a loro era stato presentato come un progetto di conservazione, era in realtà ideato come una forma di compensazione per gli effetti di una miniera di ilmenite, che ha causato la distruzione di una foresta costiera vicino alla città di Fort Dauphin, 50 chilometri a sud del sito di Bemangidy-Ivonhibe previsto per il biodiversity offsetting.

Gli abitanti di questi villaggi hanno subito delle limitazioni nelle attività di approvvigionamento dei loro mezzi di sussistenza a causa del progetto della Rio Tinto, che impedisce loro di accedere alla foresta, senza peraltro che venisse condotta nessuna negoziazione al riguardo. Un incontro con le Ong conservazioniste coinvolte nell’implementazione del progetto di biodiversity offsetting ha reso evidenti i metodi eticamente deplorevoli usati per far sì che la popolazione locale non avesse accesso alla foresta

“Stiamo soffrendo molto perché non ci è più permesso di coltivare dove eravamo soliti farlo. Stiamo provando a seminare nei pressi delle dune, ma sono troppo sabbiose e così è quasi impossibile coltivare alcunché. Inoltre hanno preso le nostre terre e non ci hanno nemmeno compensato. Avevano detto che lo avrebbero fatto, ma non è così. Hanno messo in piedi dei progetti di micro-credito per sole 10 persone, dando loro 60.000 ariary (18 euro ndr) a testa. Un importo insignificante, che non può rendere sostenibile tale progetto”

Questo è un estratto di alcune dichiarazioni delle comunità locali raccolte nel corso della missione.

Il rapporto è disponibile in inglese al link qui sotto:

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A questo link il rapporto in francese.

Al link qui sotto la versione in malgascio:
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Questa pubblicazione è stata realizzata con il sostegno economico dell’Unione Europea. I contenuti di questa pubblicazione sono di esclusiva responsabilità di Re:Common e non riflettono in alcun modo la posizione dell’Unione Europea.

 

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