La timidezza del primo della classe

Ecofin (fonte: Il Consiglio dell'Unione Europea)
Ecofin (fonte: Il Consiglio dell'Unione Europea)

[di Antonio Tricarico]

Finalmente ieri si è raggiunto il numero minimo di paesi necessario per avviare una cooperazione rafforzata a livello europeo per l’istituzione di una tassa sulle transazioni finanziarie, un’evoluzione della ben nota Tobin Tax.

Un risultato politico storico, come sottolineato da diversi commentatori e dalla società civile, o quanto meno un’inversione di tendenza importante, perché si è affermato in maniera formale il principio che i movimenti speculativi di capitale si possono anche tassare, visto che danneggiano l’economia e i cittadini.

Si inizia quindi con una mini-tassa dentro l’Ue, superando l’opposizione scontata del Regno Unito e di qualche altro stato ultra-scettico. Ma il processo di messa a regime richiederà ancora diversi mesi – e si spera non di più – poiché devono essere affrontate molte questioni tecniche. Poi c’è lo spinoso nodo politico dell’utilizzo del gettito della tassa, ossia se il denaro raccolto finirà in casse “comunitarie”, come vuole la Commissione per rimpinguare il budget dell’Unione, oppure rimarrà nei forzieri nazionali per appianare il debito o per altri fini socialmente utili, come auspica la società civile.

Significativo che anche il governo Monti alla fine abbia rotto gli indugi, forse cedendo alle pressioni dell’asse franco-tedesco, e si è unito all’iniziativa nonostante mantenga ancora con qualche remora. Basta rileggersi le parole dell’ambasciatore Ferdinando Nelli Feroci, che rappresentava l’Italia all’incontro dell’Ecofin di ieri a Lussemburgo, per rendersene conto: “non è stata una decisione facile… abbiamo dichiarato di preferire un impegno in un contesto più ampio e quindi abbiamo aderito nell’auspicio che si creino i presupposti per la partecipazione di altri Stati membri”.

Il governo Monti, a differenza di Germania e Francia, è stato e forse sarà ancora restio ad esercitare una leadership internazionale in questa nuova avventura. Non spendere su questa materia  la tanto osannata credibilità internazionale di Mario Monti – il quale invece è sempre il primo della classe se si tratta di tagli alle spese e debito da onorare con i mercati – è un grave errore, poiché serve muoversi in fretta per l’interesse del paese. Alla vigilia degli incontri annuali delle istituzioni finanziarie internazionali in programma a Tokyo, il Fondo monetario ha reso noto che nell’ultimo anno hanno lasciato l’Italia più di 250 miliardi di euro di capitali, mentre per la Spagna si arriva quasi a 300. Ciò vuol dire che la ricchezza dei benestanti italiani, un terzo di cui è in titoli finanziari (ben 3.300 miliardi di euro, ossia quasi due volte il Pil nostrano!), si sposta sempre più verso piazze finanziarie poco controllabili, e tassabili.

Questa sarebbe l’urgenza da affrontare per il governo Monti, non solo la spending review e le  collegate misure di austerità. Ma per il professori e i tecnici ci sono sempre due pesi e due misure quando si parla di cittadini e di mercati finanziari.

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