La Banca mondiale ci ripensa e finanzia la mega diga in Congo

Diga di Inga I, Rep. Democratica del Congo, foto Elena Gerebizza/Re:Common
Diga di Inga I, Rep. Democratica del Congo, foto Elena Gerebizza/Re:Common

[di Luca Manes] pubblicato su pagina99.it

Il Consiglio dei Direttori della Banca mondiale la settimana scorsa ha approvato un finanziamento di 73 milioni di dollari per la mastodontica centrale idroelettrica Inga III nella Repubblica Democratica del Congo.

Una notizia che, in un certo qual modo, ha del sorprendente, dal momento che all’inizio dell’anno sembrava che la World Bank, su pressione degli Stati Uniti, stesse rivedendo la sua posizione sul sostegno ai grandi sbarramenti in fase di realizzazione nel pianeta.

Inga III, invece, rappresenta la diga di dimensioni più estese mai supportata economicamente dai banchieri di Washington. Nel dettaglio, il denaro stanziato andrà a coprire le spese per gli studi di natura tecnica e legale previsti prima dell’inizio dei lavori, che dureranno almeno sette anni a partire dal 2016 e che si calcola ammontino a 14 miliardi di dollari. Sempre che tutto vada come auspicato, sebbene un recentissimo studio di alcuni ricercatori dell’università di Oxford dimostri, dati alla mano, che in questi casi l’aumento del budget e del tempo necessario per la costruzione non sia un’eccezione, bensì la regola. Se, come plausibile, da 14 miliardi si dovesse passare a 28, il rischio che il debito del Paese africano possa schizzare in alto in maniera incontrollabile sarebbe notevolissimo. Atif Ansar, tra gli autori del rapporto, interpellato dalla Ong americana International Rivers ha chiarito che un’eventualità del genere renderebbe il progetto non solo inutile, ma molto dannoso.

Più che gli impatti ambientali dell’opera, in questo caso relativi, a preoccupare la società civile locale e internazionale è la sua stessa utilità. Sebbene la Banca mondiale dovrebbe adoperarsi per combattere la povertà, un progetto come Inga III non recherà benefici per la popolazione locale. L’energia elettrica prodotta dall’impianto, infatti, servirà alle compagnie minerarie per portare avanti le loro attività, oppure sarà destinata all’export. E nel frattempo il 90 per cento dei congolesi continuerà a rimanere senza alcun accesso alla rete per la distribuzione dell’energia elettrica.

Secondo l’Agenzia Internazionale per l’Energia, non esattamente un covo di sovversivi, quella dei mega sbarramenti rappresenta la cura sbagliata per le esigenze di un continente come l’Africa. Vista la bassa densità abitativa, servirebbero soluzioni alternative, basate su reti di piccole dimensioni o progetti di rinnovabili decentralizzate (solare ed eolico) e a costi contenuti, che per altro renderebbero le comunità meno esposte agli effetti perversi dei cambiamenti climatici rispetto alle grandi dighe, la cui portata d’acqua può essere condizionata in maniera estrema dalla imprevedibilità delle precipitazioni.

Come di consueto, invece, la Banca mondiale preferisce ignorare le lezioni del passato, subordinando gli interessi di intere popolazioni a quelli delle imprese.

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