Coalexit.org, il database dei nuovi progetti carboniferi nemici giurati del clima

Centrale a carbone di Belchatow, Polonia, 2017. Foto Carlo Dojmi di Delupis/Re:Common

[di Luca Manes]

Nell’anno di grazia 2017 ci sono ancora compagnie private che intendono investire le loro risorse finanziarie in nuovi impianti a carbone. E chi se ne importa se bruciare il più inquinante dei combustibili fossili acuirà la piaga globale dei cambiamenti climatici.

Lo rivela il sito web www.coalexit.org della Ong tedesca Urgewald, in cui sono mappate 120 società pronte a sostenere economicamente due terzi dei nuovi impianti a carbone. In totale sono oltre 1.600 le nuove centrali a carbone progettate o in fase di realizzazione in giro per il Pianeta, per un totale di 840mila megawatt di energia prodotta.

Un dato, tra i tanti contenuti nel data base online, preoccupa in maniera particolare i ricercatori di Urgewald: spunteranno parecchie centrali in circa 20 paesi cosiddetti “di frontiera”, dove lo sfruttamento della polvere nera al momento è quasi o del tutto assente. È il caso di Pakistan (da 190 a 15.278 megawatt di capacità), Egitto (da zero a 17mila megawatt) e Bangladesh (da 250 a 15.960 megawatt), che così si ritroveranno a dipendere da una fonte energetica sporca e inquinante per decenni a venire.

Nella speciale classifica delle aziende più attive nel sostenere nuove infrastrutture per lo sfruttamento del carbone ci sono al primo posto l’indiana India’s Thermal Power Corporation (per un totale di più di 38mila megawatt), le cinesi SPIC (31.500 megawatt), China Datant (28.900 megawatt) e Shenhua (17.250 megawatt). Compagnie dell’ex Impero di Mezzo sono presenti nel 43% dei progetti presenti nel database di Urgewald. In una lista dominata da enti asiatici, la prima realtà africana, la sudafricana Eskom, si piazza quindicesima, mentre la prima europea è la polacca PGE. Compagnia in cui nel 2016 l’italiana Generali ha investito almeno 33,8 milioni di dollari. La Polska Grupa Energetyczna (PGE) produce l’85% della propria energia dal carbone, incluso un 30% dalla lignite, il carbone di più bassa qualità e più inquinante. Generali è quindi sponsor dell’espansione del peggiore carbone esistente all’interno dei confini europei, estratto nelle miniere di Bełchatów, tra le più grandi di lignite del Vecchio Continente, e quella di Turów, che ha pesantissimi impatti transfrontalieri con la Repubblica Ceca.

Insomma, altro che applicazione dell’Accordo di Parigi e contenimento della febbre del Pianeta sotto i due gradi centigradi, qui si rischia di peggiorare ulteriormente una situazione tutt’altro che rosea.

Il data base on line di Urgewald si basa su dati pubblici, presi dai bilanci delle compagnie, da siti web e da documenti dei singoli investitori. Insieme a Banktrack, Les Amis de la Terre, Rainforest Action Network, Development Yes Open Mines No e Asian People’s Movement on Debt and Development, anche Re:Common ha contribuito alla compilazione del data base.

Guarda il video sugli impatti degli impianti a carbone di Belchatow e Turow in Polonia:

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