BP ritira la sponsorizzazione alla Tate

La protesta di "Liberate Tate" al ricevimento estivo della galleria d'arte Tate, 2010 (Photo Immo Klink)

[di Luca Manes]
Anni e anni di proteste hanno finalmente portato i loro frutti: dal 2017 la multinazionale britannica del petrolio BP non sponsorizzerà più il polo museale Tate, ponendo fine a una “relazione pericolosa” che durava ormai da quasi tre decenni. Lo ha rivelato in prima battuta il quotidiano inglese The Independent, ma la notizia è stata poi ripresa da vari quotidiani internazionali, tra cui il New York Times. Tutti hanno riportato la versione ufficiale della compagnia, che avrebbe preso la decisione in base a criteri di mera opportunità economica e non a causa delle proteste di una nutrita fetta della società civile inglese.

Pietosa bugia, ci verrebbe da dire. Le numerose azioni inscenate negli anni dai contestatori hanno infatti giocato un ruolo fondamentale nell’intera vicenda.

Azioni spettacolari, evocative e molto artistiche, su questo è probabile che convengano anche i vertici della BP. Solo per citarne alcune, nei vari musei londinesi della Tate si sono tenuti un esorcismo di massa, per scacciare i demoni dell’olio nero, una lunga sessione (25 ore) di scrittura sui pavimenti di messaggi inerenti i cambiamenti climatici e degli attivisti si sono tatuati sul corpo i dati sulle emissioni di CO2 rilasciate nell’atmosfera dall’anno della loro nascita.

La lotta di realtà come il collettivo Liberate Tate e l’organizzazione londinese Platform ha riguardato inoltre le cifre del contributo economico fornito dalla BP alla Tate. Ci è voluta una causa in tribunale per sapere che in totale in 26 anni la multinazionale petrolifera aveva versato 3,8 milioni di sterline (circa 5 milioni di euro) per avere il suo luogo in bella mostra in alcuni dei luoghi più famosi e visitati di Londra. Il direttore della Tate Nicholas Serota ha ringraziato pubblicamente la compagnia, lodando il suo grande sostegno per ogni forma d’arte, mentre il ministro della Cultura Ed Vaizey si è detto ben contento che la BP continui a finanziare altri musei di primissimo piano, quali il British Museum e la National Portrait Gallery.

La società civile inglese invece ha giustamente cantato vittoria, ben sapendo che sono ancora tante le campagne da vincere per spezzare l’intreccio tra cultura e combustibili fossili.

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