Azerbaigian sull’orlo del tracollo finanziario?

Edificio della International Bank Azerbaijan. Foto Flickr, licenza Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0)

[di Elena Gerebizza]

L’11 maggio la banca di sviluppo dell’Azerbaigian, l’International Bank of Azerbaijan (IBA), ha dichiarato default, chiedendo agli Stati Uniti di aprire una procedura di bancarotta con tutela secondo il cosiddetto “capitolo 15” della legislazione a stelle e strisce (ovvero: bancarotta che coinvolge attori internazionali).

L’istituto, una sorta di Cassa Depositi e Prestiti azera che ha il compito di garantire la stabilità del sistema bancario in Azerbaijan, si comporta da attore privato globale, ma è di fatto a controllo pubblico.
Che il paese non se la passasse bene era nell’aria da quando è crollato il prezzo del petrolio, senza peraltro mandare segnali di poter ritornare oltre i 100 dollari al barile (oggi è poco oltre i 50, ndr). Ne avevamo parlato anche noi in un articolo di qualche tempo fa.

Certo che la situazione fosse così grave non è trapelato né dai media finanziari né dalle agenzie di rating. E’ vero che i panni sporchi si lavano in casa, ma poi arriva il momento in cui il bubbone scoppia e i nodi vengono al pettine. Così oggi sappiamo che mentre la IBA comprava dalle altre banche azere i titoli “tossici” che avevano in pancia, il governo azero aumentava la partecipazione statale nella IBA (passando dal 51% nel 2015, all’80% di oggi), mandando così messaggi rassicuranti ai mercati. Too big to fail insomma, con il governo e il suo Fondo statale, il SOFAZ, a fare da “sponsor”.

Nel suo comunicato stampa pubblicato l’11 maggio, la International Bank of Azerbaijan prospetta la chiusura del bilancio 2016 con una perdita di 1,6 miliardi di manat (circa 997 milioni di euro, ndr).

Oggi sembrerebbe che i titoli tossici incamerati dalla IBA ammonterebbero all’80% del portfolio della banca. La ristrutturazione del debito – che coinvolge diversi istituti di credito privati europei, oltre che statunitensi – prospetta una perdita del 20% per i creditori, come ventilato da pubblici ufficiali azeri in un incontro tenutosi a Londra mercoledì scorso. Secondo la Reuters nell’elenco dei creditori ci sarebbero la tedesca Commerzbank, l’italiana Intesa San Paolo, un ramo della Bayerische Landesbank, la filiale russa della francese Societe Generale e la QSC, la banca commerciale del Qatar. (Se ne parla anche qui).

E c’è di più. La maggior parte dei 3 miliardi di dollari di debito da ristrutturare sarebbe dovuto nel 2017, e la International Bank of Azerbaijan avrebbe già sospeso i pagamenti avviando la ristrutturazione, per altro pubblicando i termini del negoziato (su cui deciderà un tribunale commerciale privato) sul proprio sito.

Bloomberg rivela anche che il più grande creditore della IBA è proprio il fondo di stato azero, il SOFAZ, con crediti per circa 1 miliardo di dollari. Mentre tra gli altri creditori c’è anche la società di scopo che avrebbe emesso gli ultimi bond messi sul mercato dalla IBA, la Cargill Trade Finance, oltre che gli investitori
che hanno creduto nelle recenti emissioni di Eurobond in scadenza nel 2019, che ora la IBA vuole ristrutturare per 500 milioni di dollari.

Ora escono anche vari “altarini”. Come il mega scandalo scoppiato in Kazakistan per l’acquisto di tutti i bond emessi dalla IBA nell’ottobre 2014, per un totale di 250 milioni di dollari. Un’operazione già al tempo criticata, avvenuta alla vigilia della crisi originata dal calo del prezzo del petrolio che ha colpito entrambi i paesi. Ora che la IBA è fallita, il Kazakistan rischia una perdita seria dalla rinegoziazione del debito. E in molti si chiedono il perché di questa operazione, che mette a rischio stabilità il fondo pensione kazako.

Devastante il giudizio di Dmitri Vasiliev, direttore per le istituzioni finanziarie dell’agenzia di rating Fitch, che oggi vede la IBA come “un’istituzione fallita”, facendo crollare il rating della banca a F dopo che è emerso che già nella prima metà del 2016 il governo azero aveva trasferito 5,8 miliardi di dollari all’International Bank of Azerbaijan. Sembrerebbe infatti che l’aumento del debito pubblico del paese dell’8,4% del PIL nel 2017 sia dovuto in buona parte proprio al silenzioso salvataggio della IBA e del settore bancario azero.

E l’Italia? Secondo la SACE, l’agenzia di credito all’esportazione italiana, l’Azerbaigian è un paese dove investire, i cui titoli di stato sono quotati oggi BB+, e con un tasso di rischio nell’insieme ragionevole.

Nel dicembre 2016, la SACE si era spesa per spingere aziende italiane a investire nel paese, organizzando un incontro assieme alla Camera di Commercio di Brindisi, mentre grandi aziende come Finmeccanica e Danieli firmavano nuove commesse nel paese.

Quindi tutto a posto e avanti tutta. In realtà sarebbe da porsi varie domande: Cassa Depositi e Prestiti, attraverso uno dei fondi investimento che gestisce, ha comperato i bond emessi dalla International Bank of Azerbaijan e per quale ammontare? Quale è l’esposizione della SACE nel paese? Le valutazioni sul rischio nel paese sono in fase di revisione o no? E soprattutto, visto che l’Italia è tra i governi azionisti del mega gasdotto da 45 miliardi di dollari promosso proprio dall’Azerbaigian e di cui l’Azerbaigian è il maggiore
investitore – ovvero il Corridoio sud del gas, che in Italia si legge TAP, e in cui la SOCAR azera ha il 20% – siamo sicuri che il capitale da investire ci sia davvero? Bastano le “garanzie pubbliche”, in un contesto in cui, quando appunto il debito diventa ingestibile, la sola risposta è che qualcuno dovrà perderci dei
soldi?

L’elemento più preoccupante in questa situazione è che parliamo di un paese in cui l’accesso alle informazioni è diventato una chimera, giornalisti e esperti liberi (nel senso non al soldo del governo e non
in carcere) sono mosche rare e non hanno accesso alle reali informazioni. Gli affari di stato vengono gestiti come affari di famiglia, senza la possibilità di una discussione pubblica che in qualche modo tenga conto della ricaduta che qualsiasi decisione presa avrà sul 90% della popolazione che vive in povertà e lontana dalla stanza dei bottoni.

E’ vero, il ricco paese sul Caspio non è la Grecia, e non sta nell’Unione monetaria europea. Ma è un paese che ha già chiesto aiuto al Fondo Monetario Internazionale per fare fronte alle esigenze di budget, con cui il nostro governo e l’Unione europea stanno in relazioni molto strette, e a cui le banche europee stanno considerando di prestare un sacco di soldi. Non solo quelle pubbliche – BEI e BERS hanno sul tavolo
oltre 3 miliardi in prestiti da concedere al TAP e al TANAP, su cui una decisione è attesa per dopo l’estate. Ma anche quelle private, che oltre a concedere prestiti possono avere un ruolo chiave nell’emissione dei
bond per finanziare il Corridoio Sud, e nella loro vendita ad altri soggetti come fondi investimento e fondi pensione. Quindi come dire, se c’è una crisi del debito in Azerbaigian, la cosa ci riguarda da vicino,
nonostante i 3500 chilometri di distanza da Baku.

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