Azerbaigian, non si ferma la repressione dei giornalisti

Khadija Ismayilova - foto da http://www.azadliq.org

[di Elena Gerebizza]

Continua il durissimo attacco del governo dell’Azerbaigian contro giornalisti indipendenti, movimenti e organizzazioni della società civile. Venerdì è stata arrestata Khadija Ismayilova, giornalista di Radio Free Europe/ Radio Liberty Azerbaijan service (RFE/RL, Radio Azadliq), dal 2012 messa sotto pressione dalle autorità azere per il suo lavoro investigativo che ha portato alla luce gli interessi illeciti della famiglia Aliyev, al potere dai primi anni Novanta.

L’ultima delle numerose inchieste della Ismayilova è dell’estate scorsa e scopre gli interessi delle due figlie del presidente Aliyev, Arzu e Leyla, nella società Azerfon, l’unico provider di servizi 3G nel paese, che sarebbe entrata nel mercato azerbaigiano senza gara d’appalto pubblica. Società di cui nessuno sapeva chi fossero i reali beneficiari grazie a un complesso schema societario che passa per informazioni fasulle fornite dal governo, e veicoli registrati a Panama e ai Caraibi. Non fino all’inchiesta pubblicata da RFE/RL.

Venerdì scorso la Ismaylova, che fa parte della rete di giornalismo investigativo internazionale OCCRP, si è presentata al tribunale di Baku per una delle tante udienze preliminari di un’indagine farsa, che la vede accusata di incitazione al suicidio di un giornalista freelance che in passato aveva collaborato con RFE/RL, secondo l’articolo 125 del codice penale dell’Azerbaigian. Accuse che la stessa testata giornalistica ha rigettato tramite il suo direttore, Nedan Pejic, secondo cui “le accuse contro Khadija sono vergognose. Ella viene punita per la sua attività giornalistica”.

Già lo scorso novembre il governo aveva impedito a Khadija di viaggiare, togliendole il passaporto, e impedendole di partecipare a un’audizione presso il Senato degli Stati Uniti, sul tema “Combattere la corruzione nell’area OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa)”. L’evento ha avuto luogo con una sedia vuota per volere dei partecipanti, a testimoniare l’assenza della giornalista e a riconoscimento del suo lavoro per la lotta alla corruzione in Azerbaijan.

Secondo il suo avvocato, Elton Guliyev, l’arresto di Khadija avviene sulla base di una motivazione politica. “Khadija è stata arrestata per la sua attività giornalistica e per le inchieste che stava conducendo. Le accuse sono assurde, la corte non ha prove e nemmeno fatti su cui fondarle”.

La giornalista rimarrà in carcere fino al processo, fissato fra due mesi. Rischia dai 3 ai 7 anni di carcere. In seguito all’arresto le autorità sono entrate nel suo appartamento e hanno sequestrato 50 DVD e il suo modem.

Anche Dunja Mijatovic, responsabile OSCE per la libertà dei media, parla di “intimidazione orchestrata” specie dopo la pubblicazione di una dichiarazione di 60 pagine da parte di Ramiz Mehdiyev, capo di gabinetto del presidente Alyev avvenuta giovedì scorso, meno di un giorno prima dell’arresto della Ismaylova, che accusava non solo la giornalista ma la stessa radio di tradimento e di essere al servizio di potenze straniere.

In seguito all’arresto di Rasul Yafarov e di Leyla Yunus, avvenuto a inizio agosto, fu Khadija Ismaylova a prendere in mano la pubblicazione della lista degli oltre centro attivisti, avvocati e giornalisti arrestati per motivi politici in Azerbaigian, redatta da attivisti indipendenti e poi pubblicata a settembre (https://recommon.org/azerbaigian-scarsa-tutela-diritti-umani/). Ora il suo nome si aggiunge a questa lista, mentre il governo italiano (presidente dell’UE fino a fine anno), la Commissione europea e gli altri stati membri fingono che tutto vada bene nel paese che dovrebbe liberare l’Europa dalla dipendenza dal gas russo, e in cui l’Europa ripone la speranza della propria “sicurezza energetica”, sostenendo la costruzione di un mega gasdotto “di priorità europea” tra l’Azerbaigian e l’Europa, di cui fa parte il tanto contestato TAP, il gasdotto Trans Adriatico. Un’operazione dai costi altissimi, che mette le nostre vite, e quelle di milioni di persone che vivono in paesi “ricchi” di gas, in una dipendenza sempre più stretta da nuove e vecchie dittature. Un atteggiamento irresponsabile e pericoloso, che denunciamo fermamente.

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