È attesa per giovedì la presentazione da parte della Commissione europea del nuovo pacchetto legislativo sul mercato del gas e la sua decarbonizzazione. Una discussione complessa, che avviene mentre in tutta Europa le bollette del gas schizzano alle stelle, con rapporti sempre più tesi con Russia e Bielorussia, con le imprese che ragionano su chiusure temporanee della produzione nei momenti di picco dei costi dell’energia e i governi che si muovono in ordine sparso per contenere l’impatto sulle fasce più povere.
L’elefante nella stanza è ancora una volta la dipendenza dell’Unione europea dal gas, che la stessa Commissione non vuole mettere in discussione nonostante il prezzo carissimo che stiamo pagando a causa di questa dipendenza e della volatilità dei prezzi sul mercato del gas. L’Italia è tra i paesi più dipendenti dal gas, ma anche tra quelli meno intenzionati ad avviare da subito una transizione dalle fossili e che quindi rimarrà più esposto ai contraccolpi del mercato.
La proposta di legge europea non contiene alcun piano di uscita dal gas. Al contrario, è orientata a estendere l’uso del combustibile fossile per i prossimi decenni, ampliando il mercato e aprendolo a idrogeno e biogas. Il problema della Commissione, e dei governi europei, non è ancora quello di programmare un’uscita scalare dall’uso del gas, ma solo di provare a mettere in atto misure che possano aiutare a “decarbonizzare” il mercato. Tra queste, l’introduzione della possibilità di trasportare idrogeno attraverso la rete dei gasdotti europea con un tetto del 5%. Una proposta che allunga la vita alle infrastrutture della rete di trasporto del gas, a tutto vantaggio dei loro operatori, come l’italiana Snam, ma assolutamente inefficiente e antieconomica, almeno a detta di diversi esperti indipendenti. Inoltre l’idrogeno di cui si parla dovrebbe essere genericamente “a basse emissioni”, per cui potrebbe anche essere prodotto da gas fossile. Una beffa, forse fin troppo calcolata.
Invece di definire delle misure orientate a instradare la riduzione dei consumi e la domanda di gas per i prossimi anni, sul tavolo c’è la costruzione di nuovi gasdotti e il riconoscimento dello status prioritario a ben due mega progetti che dovrebbero aumentare le importazioni di gas verso l’Italia e contestati per varie ragioni: Eastmed e Gela-Malta. Nel caso di Eastmed, parliamo di un progetto di 4mila chilometri, che costerebbe quasi 6 miliardi di euro, ancora da autorizzare, e che per ripagarsi dovrebbe funzionare per almeno trenta o quarant’anni. La conseguenza più evidente sarebbe un pericoloso effetto lock-in del gas ben oltre il 2050, data entro cui dovremmo azzerare il consumo di gas nell’Unione europea. Il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani ha esteso l’autorizzazione (ormai scaduta) per la costruzione della tratta italiana – tra la Grecia e Otranto – a conferma dello sfrenato sostegno al gas del governo Draghi. Per questi motivi abbiamo già definito Eastmed “una bomba climatica”, con un effetto destabilizzante negli equilibri geopolitici tra Grecia e Turchia e Cipro, ma anche nell’intera regione dell’Est Mediterraneo.
Sul gasdotto tra Gela e Malta alla questione economica e di sostenibilità si sommano interessi nascosti di politici maltesi, investigati dalla giornalista Daphne Caruana Galizia prima del suo omicidio nel 2017. I suoi figli e il marito hanno chiesto alla presidenza slovena dell’UE di togliere l’appoggio e la priorità al gasdotto Melita, in quanto i soldi europei potrebbero finire nelle mani dei proprietari di un progetto corrotto, tra cui uno degli accusati per l’uccisione della madre. Il riferimento è alla centrale a gas di Delimara 4, principale beneficiario del gasdotto, attorno a cui verterebbero gli accordi corrotti su cui Caruana Galizia stava investigando, come emerso dal processo per fare luce sui mandanti del suo omicidio.
La cifra della debacle totale sul gas la dà la discussione sulla tassonomia, il “dizionario” sulla finanza sostenibile che avrebbe dovuto mettere dei paletti all’esborso di finanziamenti pubblici e privati per le tecnologie più dannose per l’ambiente e il clima. È ormai più che probabile che nel dizionario troveremo anche il gas e addirittura il nucleare, a conferma della miopia dei governi europei e del fatto che se gas e nucleare si muovono con una voce unica, allora nessuna delle due può essere l’innesto di un’autentica transizione trasformativa della nostra società.