[di Elena Gerebizza]
Ieri si è svolto a Baku il quarto incontro dell’Advisory Council per il Corridoio Sud del gas. Presenti i rappresentanti dei governi interessati (per l’Italia, il sottosegretario del ministero dello Sviluppo economico Ivan Scalfarotto), ma anche il vice presidente della Commissione europea Maroš Šefčovič, che negli ultimi mesi non ha perso occasione per spendersi a favore del mega gasdotto “di priorità europea”. Lo ha fatto anche cercando di accelerare la difficile discussione interna alla Banca Europea degli Investimenti (BEI) in merito al prestito da 1,5 miliardi di euro richiesto da TAP Ag per la tratta finale del corridoio, il gasdotto TAP. E’ stato proprio Šefčovič a scrivere al presidente della Bei lo scorso luglio, assieme al Commissario per l’energia Miguel Arias Cañete, ricordando l’urgente necessità di capitali del consorzio costruttore, a cui anche la Bei era chiamata a fare fronte.
E così alla fine la Bei ha concesso il prestito, ma non senza un significativo “aiuto” da parte della Commissione europea. Per portare il suo risultato a Baku, lo scorso dicembre la Commissione ha infatti deciso di garantire la copertura del rischio sul prestito della BEI tramite il Fondo europeo per gli investimenti strategici – EFSI (link).
Chissà quanto gli stessi Šefčovič e Cañete si saranno spesi per questo. Il dato di fatto è che sebbene sia la Bei ad aver concesso il prestito, sarà la Commissione europea a farsi carico del rischio, sempre con risorse pubbliche quindi.
Al netto della retorica sulla sicurezza energetica, a cui oramai non crede più nessuno, e delle dichiarazioni di intenti uscite ieri da Baku, orientate a rassicurare gli investitori – in primis i colossi della finanza privata, ovvero le grandi banche, ma anche i fondi investimento, i fondi pensione, e i gestori di capitali che potrebbero fare la differenza e dare la spinta necessaria alla costruzione – la verità è un’altra. Ovvero che senza una garanzia pubblica la sostenibilità economica del gasdotto rimane una chimera. E che a Baku le vere discussioni sono avvenute ovviamente a lato dell’incontro ufficiale.
La Baronessa Emma Nicholson, inviato della premier inglese Theresa May in materia commerciale per Iraq, Azerbaigian e Turkmenistan, non ha fatto mistero della fruttuosa cena d’affari a cui ha partecipato con il British Business Group of Azerbaijan (link).
Anche l’inviata della presidenza americana, Sue Saarnio, ha voluto comunicare che il sostegno statunitense al corridoio viene a lato di altre questioni ben più spinose, che hanno ovviamente a che fare con il conflitto in Siria e il sostegno alla NATO della Turchia. Equilibri complessi in cui l’Azerbaigian ha saputo destreggiarsi rimanendo con un piede in due scarpe, come del resto la Turchia, tra Stati Uniti e Russia, e ora Iran (link).
Curiosa anche la dichiarazione circolata dal rappresentante del governo italiano, il sottosegretario allo sviluppo economico Ivan Scalfarotto, che ha confermato il sostegno italiano al progetto indipendentemente dalle prossime elezioni. Forse per dire che non è Renzi il padrino di questo gasdotto? O per confermare la mano pesante contro le proteste sul territorio, che certamente hanno preoccupato Baku e anche la Commissione europea, e che non ha colore politico (link).
Un messaggio che ci fa riflettere molto, su cosa sia davvero importante: ascoltare le voci informate di chi dice no, chiedendosi perché, o andare avanti a prescindere, quasi che l’obiettivo ultimo del governo sia l’opera in se, e il sistema di relazioni collegato, molto più dei presunti benefici promessi dalla stessa?
Che la questione sia spinosa, e che il Corridoio sud e le sue relazioni siano sempre più tossiche, ce lo conferma l’attacco lanciato ieri dal governo dell’Azerbaigian alla rete di giornalismo investigativo OCCRP, il motore della mega inchiesta conosciuta come Azerbaijani Laundromat (di cui abbiamo parlato qui e qui).
Al centro dello scandalo, che ha portato alle dimissioni di diversi deputati a livello europeo, oltre che a un’inchiesta interna al Consiglio D’Europa e a un grande scompiglio nelle segreterie di partiti, governi e istituzioni, c’è l’ex deputato italiano Luca Volontè, sotto processo per corruzione e riciclaggio da qualche mese, dopo che nel giugno 2016 la stampa aveva fatto trapelare la sua indagine per avere ricevuto delle presunte mazzette dall’Azerbaigian.
Come riportato dal Corriere della Sera il 14 febbraio, il tribunale di Milano ha assolto Luca Volontè dall’accusa di riciclaggio. La notizia è stata ripresa brevemente anche da Il Sole 24 ore, ma di fatto è passata sotto traccia nel grande circo mediatico che segue l’attuale campagna elettorale. Non è passata inosservata invece per il governo dell’Azerbaigian, il primo a commentarla con diverse uscite stampa di alti esponenti del governo e con una non troppo velata minaccia di querela alla rete di giornalismo investigativo OCCRP, accusata di avere veicolato una campagna diffamatoria contro il paese del Caspio. Quello che il governo azero ha dimenticato di dire, e che invece si legge sul Corriere, è che il processo di Luca Volontè per corruzione internazionale continua. Forse è proprio questo il vero “problema”.