Soldi pubblici per il gas del TAP, la BERS dà 500 milioni alla russa Lukoil

Piattaforme petrolifere di epoca sovietica in Azerbaigian, foto © E. Gerebizza/Re:Common

La Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo ieri ha concesso un prestito di 500 milioni di dollari alla Lukoil per la seconda fase dello sviluppo del giacimento di Shah Deniz. La prima, cominciata nel 2006, è costata un totale di 6 miliardi di dollari e, a fine 2013, ha prodotto 47,3 miliardi di metri cubi di gas.

La BERS è un istituto internazionale di credito creato nel 1991 nell’ambito della Comunità Europea. Ha il compito di favorire la transizione dei paesi dell’Europa Orientale e dell’ex URSS verso economie aperte e di mercato, quindi non a caso è proprio Mosca a beneficiare di più del suo sostegno economico. La Lukoil, invece, è la seconda compagnia petrolifera privata russa nel campo degli idrocarburi, con sede a Mosca e interessi in progetti sparsi per tutto il Pianeta, dalla Colombia al Ghana passando per l’Arabia Saudita.

Il gas estratto a Shah Deniz sarà veicolato tramite Corridoio Sud, di cui fa parte il TAP (Trans Adriatic Pipeline). A realizzare e gestire le varie pipeline che compongono il Corridoio sono sì soggetti privati, ma una ricca fetta del denaro necessario per cotante opere infrastrutturali, non a caso inserite dalla Commissione tra i “progetti di interesse comune”, ce la dovrebbe mettere l’UE tramite vari canali.

Il prestito concesso dalla BERS farà probabilmente da apripista ad altre istituzioni pubbliche che si sono già dichiarate interessate a finanziare il progetto, tra cui la Banca di sviluppo asiatica, la Banca europea degli investimenti e la Banca per lo sviluppo del commercio nel Mar Nero (di cui sono azionisti la Turchia, L’Azerbaigian e la Grecia, tre dei paesi attraversati dal gasdotto). La Commissione europea sembra determinata a utilizzare nuovi strumenti finanziari per sostenere la costruzione del Corridoio Sud, come i project bond europei – testati in una fase pilota conclusasi a dicembre – tramite risorse veicolate attraverso la Connecting Europe Facility e il Piano Juncker, presentato lo scorso novembre dal nuovo Presidente della Commissione europea, un buon viatico per far salire a bordo le agenzie di credito all’export di vari stati.

“Dopo quasi un anno di tira e molla, l’Europa ha preso posizione scegliendo di finanziare uno dei più controversi progetti degli ultimi anni” ha dichiarato Elena Gerebizza di Re:common. “Un progetto che non solo favorisce un governo autoritario e la pesante repressione che ha messo in atto contro qualsiasi voce contraria, ma rischia di diventare un gigantesco buco nero per la finanza pubblica europea” ha concluso la Gerebizza.

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