Intesa Sanpaolo si conferma la banca fossile italiana per eccellenza. Negli scorsi mesi, infatti, ha concesso un prestito di 1,08 miliardi di dollari (il più grande della sua storia per un’”opera fossile”) per l’ennesimo mega terminal di export di gas naturale liquefatto (GNL) in Texas, negli USA.
Il progetto, per ora solo sulla carta, si chiama Rio Grande LNG e consisterà di 6 treni di liquefazione, con una capacità stimata di circa 39 miliardi di metri cubi l’anno. Il tutto per un costo totale di circa 17,5 miliardi di dollari. Il gas da lavorare presso il terminal sarà estratto dall’area di Agua Dulce, sempre in Texas, per poi giungere a Rio Grande tramite il gasdotto Rio Bravo, proposto da Enbridge, società canadese leader nel trasporto e distribuzione di petrolio e gas. A promuovere Rio Grande LNG è NextDecade, multinazionale energetica statunitense specializzata proprio nel business del gas naturale liquefatto. La compagnia ha individuato nella cittadina di Brownsville, in Texas, a pochi chilometri dal confine con il Messico, l’area in cui realizzare la nuova mega infrastruttura del gas.
Oltre alla “munifica” Intesa Sanpaolo, c’è molta presenza europea in questo nuovo terminal. La multinazionale energetica francese TotalEnergies è entrata in Rio Grande LNG nel giugno 2023, con una quota del 17% del capitale. L’ingresso del gigante francese dell’oil&gas ha facilitato l’accaparramento delle prime coperture finanziarie. Nel luglio 2023, un pool di 10 banche ha fornito al progetto un prestito di 10,8 miliardi di dollari. Un pool in cui, evidentemente, Intesa fa la parte del leone. Un dato che sfortunatamente non stupisce, considerata l’elevata esposizione finanziaria della banca fossile n°1 in Italia nei confronti di quelle società che gestiscono e continuano a espandere l’industria del gas liquefatto nel Golfo del Messico.
Un territorio sacrificato sull’altare del GNL per i mercati asiatici ed europei, già martoriato da eventi climatici estremi, dalla concentrazione di impianti industriali su larga scala con devastanti impatti soprattutto sulle popolazioni economicamente più vulnerabili. Rio Grande LNG, infatti, sorgerebbe tra le comunità di Laguna Madre e Brownsville, una comunità rurale in cui il 90% della popolazione è di provenienza ispanica e latina. Più del 34% dei residenti della Rio Grande Valley vive in povertà, una percentuale più alta di qualsiasi altra area metropolitana negli Stati Uniti. La regione sta già lottando con importanti problemi di salute e accesso alle strutture sanitarie e questa nuova opera non farebbe che esacerbare la situazione rilasciando ulteriori migliaia di tonnellate di inquinanti nell’aria. Per non parlare degli impatti che il progetto avrebbe sull’economia locale, basata sulla pesca artigianale e sul turismo eco naturalistico, visto che il terminal si troverebbe a pochi metri dalla Laguna Atascosa National Wildlife.
Per completare il quadro delle complessità, al rischio degli impatti derivanti da incidenti industriali, si aggiunga che il terminal di Rio Grande LNG si troverebbe a circa 10 chilometri dal sito di lancio del razzo SpaceX di Elon Musk. Durante l’ultimo lancio fallito con relativa esplosione di un razzo SpaceX il 20 aprile 2023, i pezzi sono atterrati proprio sul sito del futuro terminal GNL.
Rappresentati delle comunità locali, comitati territoriali e organizzazioni non governative stanno cercando di fermare il progetto, anche attraverso vie legali. A causa dei rischi reputazionali legati a Rio Grande LNG, BNP Paribas, Societe Generale, Crédit Mutuel, UniCredit e La Banque Postale si sono impegnate a non finanziare i progetti di gas naturale liquefatto nella Rio Grande Valley. A un mese dall’assemblea degli azionisti di Intesa Sanpaolo, l’auspicio è che la prima banca italiana decida di stare dalla parte delle persone e dell’ambiente, interrompendo i finanziamenti a Rio Grande LNG. Al momento, interpellato direttamente da rappresentanti delle comunità impattate, il management di Corso Inghilterra si barrica dietro un muro di silenzio.