[di Luca Manes] pubblicato su Valori.it
Un’udienza fiume, a tratti sorprendente e in numerosi passaggi molto complessa da seguire, anche per gli addetti ai lavori. L’ultimo episodio del processo OPL245 ha visto protagonisti due pubblici ufficiali nigeriani, uno collegato in video-conferenza e l’altro presente di persona in una gremitissima aula M, al piano terra del Palazzo di Giustizia – poi nel pomeriggio tutti al terzo piano, in aula VII.
«Mai conosciuto i manager ENI»
Il primo, Victor Nkwakwo, è stato per 35 anni un esponente dello State Security Service e per otto anni ha lavorato presso la Presidential Villa come guardia del corpo del Presidente nigeriano. Uno 007 che in teoria avrebbe potuto rivelare segreti molto scottanti, ma che invece ha negato di aver mai conosciuto manager dell’Eni o Dan Etete, l’ex ministro del Petrolio di fatto proprietario della società che ha venduto la licenza petrolifera OPL245 al Cane a Sei Zampe e agli anglo-olandesi di Shell. Insomma, molto rumore per nulla.
Se la deposizione di Nkwakwo è durata una manciata di minuti, quella del capo investigatore dell’EFCC, l’ente anti-corruzione nigeriano, è andata avanti per ore, mettendo a dura prova l’interprete. A proposito della traduzione fornita in questa udienza, per fortuna è stata meno inadeguata delle precedenti, a volte rivelatesi disastrose. Per risolvere il problema, la corte ha specificato di aver conferito all’interprete un incarico “più vasto”, quasi peritale, così da migliorare la qualità del “servizio”.
Gli 8 investigatori di Ahmed
Il testimone Ibrahim Ahmed è un ufficiale di polizia, che ha esordito spiegando gli ampi poteri conferiti alla EFCC, fondata nel 2004 per indagare su tutti i soggetti, ministri compresi, sospettati di aver compiuto crimini finanziari. Sul caso OPL 245 a scavare su migliaia di pagine di documenti erano in otto, alla guida di Ibrahim. Hanno iniziato a seguire la vicenda nel febbraio del 2012 a seguito di una denuncia presentata dagli avvocati di due soggetti di un certo “peso specifico”, che così finalmente sono entrati nell’agone processuale: il figlio dell’ex dittatore Sani Abacha, Mohamed Sani, e la società Pecos Energy, di proprietà dell’imprenditore italiano Gabriele Volpi.
Abacha Junior era tra i tre soci fondatori della Malabu nel 1998, insieme a Etete e all’ex ambasciatore della Nigeria negli Stati Uniti, poi sostituito proprio dalla Pecos a seguito di un pagamento di 5 milioni di dollari.
La controversa gestione della Malabu
Da questo momento in poi il racconto si trasforma in una lunga teoria di cambiamenti di direttori, nomi fittizi, passaggi di azioni e trasferimento di denaro, il tutto segnato da una pletora di atti illegittimi e poco trasparenti che danno la misura di come la gestione della Malabu sia stata a dir poco “controversa” – non deve stupire che la compagnie fino al 2010 non avesse nemmeno un conto corrente bancario.
Prima della chiusura dell’accordo con Shell ed ENI nel 2011 le trattative per la ricca licenza petrolifera sono state molteplici, punteggiate da revoche, aggiudicazioni temporanee, arbitrati e procedimenti giudiziari.
Nel 2003 in realtà la Shell si era aggiudicata i tanto agognati diritti, per poi doverli dare indietro tre anni dopo, a seguito di un provvedimento governativo, poi impugnato in un arbitrato internazionale.
Il passaggio più significativo di questo modus operandi riguarda soprattutto l’estromissione proprio di Abacha Junior e della Pecos, che sostengono di non aver mai firmato documenti per la cessione di quote, finendo per perdere i lauti proventi dell’affare OPL 245.
Val la pena rammentare, invece, che a rappresentare la Nigeria durante il già citato arbitrato tenutosi negli Usa nel 2006 c’era Mohamed Adoke Bello, poi nominato ministro della Giustizia sotto la presidenza di Goodluck Jonathan. Lo stesso Jonathan, che prima di dedicarsi alla politica aveva svolto la mansione di insegnante dei figli di Dan Etete, con il quale condivideva anche lo stesso Stato d’origine – Bayelsa. E un enorme interesse per i proventi di una ricca licenza petrolifera…