[di Luca Manes] pubblicato su Nigrizia.it
Un processo storico, quello che si è aperto la scorsa settimana a L’Aja, in Olanda. Esther Kiobel, Victoria Bera, Blessing Eawo e Charity Levula, quattro delle vedove dei nove attivisti del Movimento per la sopravvivenza del popolo ogoni (Mosop) giustiziati nel novembre del 1995 dalle autorità nigeriane, hanno portato in tribunale la multinazionale Shell, accusata di molteplici violazioni dei diritti umani e di aver svolto un ruolo attivo nella morte dei loro mariti.
All’epoca la Nigeria era sotto la spietata dittatura di Sani Abacha e gli ogoni, una delle popolazioni del Delta del Niger, la regione del paese più ricca di petrolio, avevano inscenato varie proteste pacifiche contro la corporation anglo-olandese. In decenni di attività, la Shell aveva infatti inquinato in maniera estesa, senza di fatto mai procedere con alcuna bonifica, il territorio degli ogoni.
Un fatto confermato nel 2011 da un rapporto dell’Unep, l’agenzia dell’Onu per l’ambiente, che stimava ci sarebbero voluti almeno 30 anni e una spesa iniziale di oltre un miliardo di dollari per ripulire l’Ogoniland – va ricordato che gli impatti negativi dell’estrazione petrolifera sono visibili in tutto il Delta del Niger, dove oltre alla Shell è molto attiva anche l’italiana Eni.
Tra i nove membri del Mosop trucidati c’era anche il leader dell’organizzazione, il drammaturgo e poeta di fama mondiale Ken Saro-Wiwa. Le imputazioni nei loro confronti erano palesemente inventate. Nonostante una forte mobilitazione a livello mondiale, i nove esponenti del Mosop furono condannati a morte e giustiziati.
Ora i giudici dell’Aja sono chiamati a decidere se la Shell possa essere ritenuta complice del governo Abacha nell’uccisione dei nove e nella sanguinosa repressione contro gli ogoni.
Come dimostra un dettagliato rapporto di Amnesty International, nella prima metà degli anni Novanta le forze di sicurezza nigeriane avrebbero ucciso, violentato e torturato centinaia di ogoni per reprimere la loro opposizione alle attività della compagnia petrolifera.
L’ong internazionale sostiene che in quegli anni la Shell abbia fornito “supporto logistico” all’esercito di Abuja e, almeno in un’occasione, abbia pagato di tasca sua un alto ufficiale noto per numerose violazioni dei diritti umani. I documenti in possesso di Amnesty rivelerebbero che nel marzo 1994 la compagnia ha effettuato un pagamento di oltre 900 dollari ad un’unità governativa speciale, creata per “ristabilire l’ordine” nell’Ogoniland.
Una delle vedove, Esther Kiobel, aveva già intentato una causa contro la Shell nel 2002 negli Stati Uniti. La compagnia nega le accuse di complicità nella morte dei nove ogoni o nelle diffuse violazioni dei diritti umani, pur riconoscendo la consapevolezza dell’azione militare della Nigeria per proteggere le proprie infrastrutture.
Nel 2009, la Shell ha raggiunto un accordo extragiudiziale di 15,5 milioni di dollari con le famiglie delle vittime, dichiarando che tale accordo doveva coprire le loro spese legali e il riconoscimento degli eventi che hanno avuto luogo nell’Ogoniland. Otto anni dopo la corte americana ha dichiarato la propria impossibilità a procedere per difetto di giurisdizione. Nel 2017, con l’assistenza di Amnesty International, il caso è stato ripresentato nei Paesi Bassi. La prossima udienza è prevista per l’8 maggio.