Lo scorso dicembre il tifone Rai ha devastato le Filippine, provocando centinaia di morti – 375 secondo i calcoli ufficiali. Un evento estremo anche per quell’area del Pianeta, la cosiddetta cintura dei tifoni, dove di questi fenomeni atmosferici se ne sono sempre registrati almeno una ventina l’anno. “Ma ormai da oltre un decennio dobbiamo parlare di super-tifoni, che stanno diventando sempre più frequenti e colpiscono aree che prima dell’aggravarsi della crisi climatica non erano nemmeno interessate da questi accadimenti, come l’isola di Mindanao, nel sud”.
A spiegarci questa terribile escalation climatica è Lidy Nacpil, coordinatrice dell’Asian People Movement Asia Pacific Movement on Debt and Development (JSAPMDD) e partner di lunga data di ReCommon. Il JSAPMDD è una rete che può contare oltre una cinquantina di realtà per lo più di base che nel sud-est asiatico, fino a Giappone e Corea del Sud. Ma nel 2018 Lidy è stata anche tra le fondatrici dell’Asian Energy Network, che conduce campagne sui combustibili fossili e la transizione energetica, lavorando a stretto contatto anche con numerose organizzazioni della società civile asiatica e internazionale.
“In alcune aree colpite dai tifoni le persone non erano abituate a questi disastri. Oltre i lutti anche l’impatto psicologico è stato molto forte. Le isole più piccole sono state investite da mareggiate enormi, i loro abitanti non hanno potuto trovare rifugio proprio perché le acque arrivano dappertutto. Stime cautelative del governo parlano di 5 milioni di persone colpite e mezzo milione di abitazioni danneggiate”.
Tuttavia la ricostruzione è solo seconda priorità, perché prima di tutto vanno garantite il cibo e le medicine. Inoltre ci si chiede se nuove case saranno in grado di resistere ad altri accadimenti del genere. “Nel 2013 a causa di un super-tifone dagli impatti enormi varie varie zone del Paese sono divenute no go area. Almeno in teoria, perché molte persone sono tornate nei luoghi che avevano dovuto abbandonare. D’altronde si trattava per lo più di comunità di pescatori che non potevano fare diversamente”.
Ma le conseguenze più terribili e a lungo termine sono sui terreni agricoli, che diventano inutilizzabili. “Specialmente quelle che non si possono rimpiazzare in tempi brevi, come la noce di cocco, che ha bisogno dai 5 ai 7 anni per crescere”, ci spiega Lidy, che ricorda come i modelli meteorologici siano profondamente mutati. “Piove quando non dovrebbe e viceversa e non si capisce più quando si può piantare o meno”. È tristemente evidente che i filippini hanno scoperto la crisi climatica a causa dei super-tifoni che stanno colpendo i loro territori. Negli ultimi anni, poi, la situazione è ulteriomente peggiorata a causa degli effetti della pandemia.
Le Filippine non sono tra i paesi dove si estraggono combustibili fossili in grandi quantità. “Però siamo ricchi di quasi tutti minerali, utili per i processi di industrializzazione sul nostro territorio e la principale ragione per cui siamo stati di fatto “colonizzati dagli USA”. Non stupisce quindi che proprio il settore minerario è stato sempre favorito da tutti i governi che si sono succeduti negli ultimi decenni. “Dando un’occhiata alla mappa delle Filippine si trovano licenze approvate o in corso d’approvazione più o meno ovunque”. Tornando ai combustibili fossili, le Filippine hanno storicamente bruciato molto carbone – per il 70% importato dall’Indonesia – ma grazie agli sforzi delle reti e delle organizzazioni di base hanno ottenuto una moratoria. “Noi attivisti chiediamo uno stop definitivo e intanto stiamo conducendo campagne anche sul gas, visto che il governo sta puntanto forte proprio su nuovi impianti a gas”.
Due istututi di credito di peso come la RCBC e BPI hanno tagliato i finanziamenti al carbone, altra dimostrazione che le campagne della società civile filippina riescono a incidere. Una società civile che però deve fare i conti con la feroce repressione del presidente Rodrigo Duterte. “La sua guerra alla droga ha causato centinaia di morti tra i semplici consumatori o persone che nemmeno facevano uso di sostanze stupefacenti. Come ai tempi della dittatura di Marcos, anche molto attivisti vengono perseguitati, anche se in maniera più ‘chirugica’ rispetto al passato”, l’amara riflessione di Lidy. “Spesso sono stati sciolte le nostre manifestazioni, ma non essendoci in atto la legge marziale tutto ciò è del tutto arbitrario”. Insomma, la pratica dell’attivismo rimane molto a rischio a queste latitudini.
“Ogni periodo ha le sue sollecitazioni. Quando eravamo giovani, combattevamo un dittatore e dovevamo essere pronti a sacrificare le nostre vite. Ora ci sono altre sfide. Per risolvere la crisi climatica dobbiamo cambiare il sistema e per fare ciò bisogna pensare in maniera molto strategica e di rafforzarci. Se mobilitiamo milioni di persone per le strade e poi non diamo il giusto seguito a queste attività non basta. Bisogna riflettere molto e studiare per capire che tipo di cambiamento vogliamo. I movimenti sociali devono crescere, si devono strutturare e consolidare perché il nemico è forte e servono delle strategie efficaci per contrastarlo. Però non bisogna usare ‘scorciatoie’, bisogna essere pazienti con i movimenti, ma impazienti con i governi e le multinazionali”.