A pochi giorni ormai dal pronunciamento del ministero dell’Ambiente sulla Valutazione di Impatto Ambientale del progetto, ecco perché secondo noi il TAP è un’opera inutile e dannosa, da molti punti di vista. Che le istituzioni finanziarie europee e italiane non devono finanziare.
1. NON SERVE né a noi né al resto d’Europa
In Europa di gasdotti ce ne sono in abbondanza. Tuttavia i consumi sono in costante diminuzione. I progetti di nuovi gasdotti rispondono quindi a ragioni economico-finanziarie e non alle “necessità” reali di chi vive in Italia o negli altri paesi. Costruire il TAP non servirà a rilanciare l’economia e a “uscire” dalla crisi economica che persiste. Non serve a chi ha perso il posto di lavoro, o a chi è stato costretto a chiudere la propria attività. Non serve neanche a chi vorrebbe emanciparsi dal gas russo, perché i russi sono parte del progetto con la loro azienda petrolifera Lukoil, impegnata nell’estrazione proprio del gas che dovrebbe essere trasportato dal TAP. Non serve a chi spera “che almeno porti soldi”, perché la società costruttrice (la Trans Adriatic Pipeline AG) è registrata a Baar, in Svizzera, e non pagherà mai le tasse in Italia.
2. DANNEGGIA IL TERRITORIO ben oltre la sua costruzione
Le ruspe, il cantiere, le tecnologie che verranno usate sono tutti aspetti preoccupanti. Terminata la costruzione, le cose non saranno “come prima”, lo abbiamo visto in altri luoghi dove sono stati costruiti gasdotti simili. Dove passa un gasdotto, tutte le altre attività economiche diventano “secondarie” o collaterali, e secondari e collaterali diventano anche gli abitanti di quelle terre. Il progetto presenta tanti aspetti da chiarire: le centinaia di osservazioni presentate dalle associazioni e dall’amministrazione di Melendugno non possono riassumersi in poche righe, ma sottolineano vari timori. Andando oltre, il gasdotto è la testa di ariete di un modello di “sviluppo” che si porta dietro cementificazione, inquinamento e danni all’ambiente che si manifesterebbero negli anni a venire.
3…E LA SUA ECONOMIA, in cui il mare, la terra e le risorse sono al centro di tutto
La realizzazione del gasdotto non causerebbe solo un danno economico “compensabile”. L’infrastruttura, infatti, arriva dal mare, attraversa la falda acquifera, che proprio nella zona di San Foca passa quasi in superficie, mette a rischio la costa, l’habitat marino, le riserve d’acqua e le piantagioni antiche di ulivi anche millenari. Distruggerebbe così l’ambiente in cui vivono delle persone, e in cui sono incardinate tutte le attività economiche e commerciali che in questa terra danno da vivere, che sono parte del tessuto sociale e culturale del territorio. Dalla pesca all’agricoltura, agli agriturismi alla produzione vinicola, questa terra fa della sua semplicità e del rispetto per l’ambiente il suo punto di forza. Un gasdotto e tutte le sue implicazioni non fanno parte del futuro che gli abitanti dell’area stanno costruendo per i loro figli.
4. ANTI DEMOCRATICO e non ascolta i cittadini
Il TAP è solo una parte di un gasdotto più lungo, la cui costruzione è stata decisa da governi e compagnie private, senza però consultare i cittadini. Nessuno ha chiesto a chi vive sui territori che verranno attraversati dal TAP e dalle altre componenti del più lungo “Corridoio sud del gas” se fosse o meno opportuno costruire quest’opera, né in Italia né in Azerbaigian. L’esercizio di democrazia riguarda i dettagli del progetto, al massimo qualche deviazione nel tracciato, o un approdo differente nel caso del Salento. Tutti “particolari” che verranno poi presentati come espressione di alta democrazia. Ma se il progetto non servisse proprio?
5. È IMPOSTO DALL’ALTO da più in alto di quanto crediate!
Che a parlare sia il governo italiano o che sia la società TAP, tutti dicono che il gasdotto TAP è di “priorità europea”. Cioè a volerlo sarebbe la stessa Europa. Una mezza verità, prima di tutto perché i governi non sono riusciti a fare una vera discussione strategica in materia di energia. Il risultato è stato una lunga lista di oltre 100 progetti “strategici” compilata dalla Commissione europea che dovrebbe accontentare un po’ tutti, aziende comprese. C’è già chi ha chiesto alla Corte europea di Giustizia di rivedere le modalità con cui la Commissione ha definito cosa è strategico e cosa non lo è, ma nel complesso il dato di fatto è che i territori e i loro abitanti sono rimasti esclusi da questa decisione. Molti dei progetti sono poi essi stessi in competizione tra loro, confermando le scelte politiche della Commissione e non basate su criteri di economicità, “strategicità” o di semplice buon senso. Il prezzo di tutto questo rischia di essere un enorme spreco di denaro pubblico, per progetti di dubbia utilità che per altro alimentano la dipendenza europea dal gas.
6. LA SICUREZZA ENERGETICA NON C’ENTRA …ma proprio per niente!
E’ la seconda parte della cantilena che ripetono governi e aziende: ce lo chiede l’Europa “per la sicurezza energetica continentale”. La verità è che l’Europa ha coniato il concetto di sicurezza energetica a tavolino, proprio quando è risultato evidente che solo per una questione di “sicurezza” avrebbe potuto legittimare l’utilizzo di qualsiasi mezzo a tutela del diritto primordiale a garantirsi il petrolio e il gas di cui l’Europa avrebbe “bisogno”. Peccato che oltre il 60% del gas e l’80% del petrolio venduti in Europa provengano da oltre i confini dell’Unione, in molti casi da paesi del Sud, come la Nigeria, o dalla regione del Caspio. Giustificare nuovi investimenti in questi paesi per estrarre petrolio e gas, o nuove infrastrutture in Italia e in Europa per garantire che petrolio e gas possano alimentare il “mercato europeo” è ipocrita e mette in secondo piano i diritti delle comunità che vivono dove il gas è estratto e dove le mega opere dovrebbero essere costruite. Ma soprattutto non affronta il vero problema, ovvero ridurre la nostra dipendenza dal petrolio e dal gas.
7. SERVE INTERESSI FINANZIARI e non i nostri
“Costruire il mercato del gas” è un mega affare in cui aziende, fondi di investimento, fondi pensione, ma anche banche e assicurazioni sono pronti a tuffarsi, a patto che tutti i rischi vengano coperti in qualche modo dai governi, dalla Commissione europea, o da istituzioni finanziarie come la Banca europea per gli investimenti. Ma quale mercato si vuole costruire? I modelli sono diversi: quello voluto dalla Commissione è strumentale per gli interessi dei grandi investitori, che puntano a creare un sistema che permetta loro di fare i soldi (e in maniera sicura), controllando una risorsa da cui prima si è creata la dipendenza, e poi scarsità (perché controllata dai grandi investitori privati). Oggi per molti il prezzo del gas è già troppo alto: cosa succederà quando il mercato sarà completato e il prezzo verrà definito proprio da questi investitori che puntano a profitti a due o più cifre? E per quale motivo governi e istituzioni pubbliche dovrebbero investire per garantirli?
8. SOSTIENE GOVERNI AUTORITARI
Le maggiori riserve di gas ancora da sfruttare si trovano nella regione del Mar Caspio. Il gasdotto TAP dovrebbe trasportare gas che viene dall’Azerbaigian, dal giacimento di Shah Deniz II nel Mar Caspio. Ma forse anche da un futuro gasdotto in Turkmenistan. A quale prezzo però? Azerbaigian e Turkmenistan sono due paesi retti da governi autoritari, in cui le violazioni delle libertà civili sono all’ordine del giorno. E’ di poche settimane fa la denuncia di decine di persone incarcerate in Turkmenistan e di cui non si ha più notizia.
In Azerbaijan, solo nell’ultimo anno decine di attivisti per i diritti umani, giornalisti, blogger sono stati arrestati sulla base di accuse costruite a tavolino. Denunciavano la corruzione del governo, in particolare legata alle risorse derivate dal petrolio e dal gas. Difendevano la libertà di espressione nelle arti, dal disegno alla musica, ancora negata in un paese che è stato già definito “una dittatura post-moderna”. Comprare questo gas significa sostenere il regime degli Aliyev e le violazioni dei diritti umani che sta perpetrando da oltre due decenni.
9. E DOVREMMO PAGARLO NOI? Sembra proprio di si…
Proprio perché si trova nella lista dei “progetti di priorità europea”, il TAP è candidato a ricevere prestiti a tasso agevolato dalla Banca Europea per la Ricostruzione e lo sviluppo e da altre istituzioni finanziarie pubbliche (come la Banca europea degli investimenti e Cassa Depositi e Prestiti). Ma non solo. Il consorzio costruttore potrebbe finanziare la costruzione vendendo sui mercati finanziari dei titoli di debito (i “project bond europei”) con un rating particolarmente alto grazie all’intervento di alcune delle istituzioni appena menzionate, assieme alla Commissione europea. In altre parole, un’agevolazione non da poco, che rischia di scaricare sulle casse pubbliche i costi dell’opera, lasciando il profitto intatto per la società che costruisce e per gli investitori che hanno comperato i bond…Un buon affare per molti, ma non per i contribuenti italiani e europei, che si troveranno a pagare il conto!
10. NON È UN’ALTERNATIVA ma un ostacolo a pratiche alternative
Il TAP ci viene spesso presentato come “un’alternativa al gas russo”, ma è davvero così? Se guardiamo i dati dei consumi, anche in tempi di recessione, il TAP non potrebbe sostituirsi alle quantità di gas che importiamo dalla Russia. Inoltre non è dato sapere il costo complessivo del TAP e delle altre parti del gasdotto, dall’Azerbaigian all’Italia, e come verrà finanziato. A conti fatti, la vera alternativa consisterebbe nel definire i bisogni reali di energia di ciascun territorio, guardando agli anni a venire e al modello economico che ciascun territorio vuole definire per rinascere dalla crisi. E quindi pensare agli interventi necessari anche per produrre energia, tagliando il cordone della dipendenza dal gas. Un progetto come il TAP va in direzione contraria, è un ostacolo alla possibilità di pensare a delle alternative realmente trasformative per i territori.
Per saperne di più: Scarica liberamente “La trappola del gas”
Comitato NO TAP: https://www.facebook.com/notapitalia?fref=ts
Nida Civic Movement (Azerbaijan)
Turkmenistan – campagna “Prove they are alive” internazionale per le persone scomparse nelle prigioni