Agricultural Investment Summit di Londra, la società civile dice no al land grab!

land-grab-stunt-london (foto Henry Nicholls/ActionAid)
land-grab-stunt-london (foto Henry Nicholls/ActionAid)

Londra, 27 giugno 2012 – Ieri sera, un’ampia coalizione composta da oltre 60 Ong e associazioni ambientaliste e di sviluppo, tra cui anche l’italiana Re:Common, ha inscenato una vivace protesta presso la sede dell’Agricultural Investment Summit, in corso di svolgimento a Londra. Secondo le realtà della società civile internazionale l’incontro non fa altro che promuovere in maniera molto decisa la diffusione dell’accaparramento di terre (land grabbing) a livello globale.

Gli investitori della City londinese e i fondi pensioni privati, infatti, stanno sottraendo terreni preziosi alle comunità più vulnerabili di numerosi Paesi del Sud del mondo, privandole della possibilità di coltivare appezzamenti di terra vitali per la produzione di cibo.

Durante l’azione, ai partecipanti al summit è stata consegnata una dichiarazione in cui la coalizione chiede alle istituzioni finanziarie e ai fondi pensione di cessare immediatamente la pratica del land grabbing.

Le compagnie del Regno Unito si sono già accaparrate oltre tre milioni di ettari di terra, soprattutto in Africa. Nella lista dei Paesi più “attivi” nell’ambito del land grabbing dopo la Gran Bretagna troviamo l’Italia, che potrebbe presto superare il limite di due milioni di ettari, con venti compagnie presenti in varie parti del globo.

Uno dei casi più spinosi è quello dell’Etiopia dove, come denuncia Human Rights Watch, nella regione di Gambella e della valle dell’Omo per scacciare le comunità indigene sono stati violati in maniera ripetuta i diritti umani e non si contano più i casi di violenza da parte delle autorità locali. “Non è vero che i terreni ceduti per pochi euro all’ettaro alle imprese straniere non sono utilizzati, essi servono per la pastorizia e le coltivazione, per cui quanto sta accadendo in questi mesi sta stravolgendo la vita di migliaia di persone che presto rischiano di essere ridotte alla fame” ha dichiarato Says Nykaw della comunità etiope degli Anuak. In altre località del Paese africano, per il momento non soggette a episodi di abusi dei diritti umani, è in fase di espansione il business di un’impresa italiana, la Fri-El Green.

“Gli organizzatori dell’incontro stanno discutendo di come ‘superare gli ostacoli che si frappongono agli investimenti’, ma in realtà così facendo nascondono il reale impatto sul campo delle loro attività, che consiste nel cancellare la sicurezza alimentare per centinaia di migliaia di persone e devastare preziosi ecosistemi” ha affermato Giulia Franchi di Re:Common, presente a Londra.

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